martedì 22 dicembre 2015

AUGURI!!!!




Grazie a tutti quelli che ci hanno seguito con interesse quest'anno!!!

Vi auguriamo uno splendido Natale in famiglia!


E vi auguriamo di trovare nel 2016 il tesoro più prezioso per un genitore: il tempo!!!



Arrivederci al 2016 con le nuove attività dell'Albero delle Relazioni!!!

lunedì 7 dicembre 2015

Conferenza 11 dicembre 2015



In collaborazione con la Cooperativa GSH, l'albero delle Relazioni presenta questa serata come evento conclusivo del 2015. Un momento per riflettere assieme sui temi generali del essere genitori e del ruolo educativo che essi hanno.
La serata sarà condotta da Pietro Lombardo
Pedagogista con studi a indirizzo psicologico, giornalista pubblicista (iscritto Regione Veneto), fondatore e direttore  del Centro Studi Evolution,  opera come consulente pedagogico, relatore di conferenze , docente di  corsi di formazione, docente di seminari e workshop, autore di Libri e Dvd . La sua esperienza, unita alla conoscenza e a un costante aggiornamento, nonché l’obiettivo di aiutare le persone,  a conoscere se stesse per migliorare la qualità della vita, attraverso una serie di servizi attività formative e consulenze, gli ha permesso di  ideare e sviluppare percorsi tematici riguardanti l’educazione, l’evoluzione personale.

domenica 22 novembre 2015

Serata su relazioni ed internet - riassunto

Internet e gli strumenti tecnologici fanno sempre più parte della nostra vista, hanno modificato il nostro modo di vivere, soprattutto i giovani ne sono attratti e li utilizzano con grande facilità.  Questo porta due impegni per noi adulti:
-          conoscere questi mezzi di comunicazione, essere preparati;
-          parlarne con i ragazzi, fin da quando sono piccoli, e stabilire con loro delle regole da subito.
Capita infatti che si dia il cellulare a ragazzini piccoli, senza regole, senza essere noi stessi buoni modelli di utilizzo, e quando emergono i problemi in adolescenza (eccessivo utilizzo, inconsapevolezza dei pericoli, cyberbullismo). Si danno spesso in mano ai giovani degli strumenti che sono potentissimi, e spesso ci si trova nei guai successivamente perché l’uso è incontenibile., un vero e proprio abuso di tecnologie.
Si può arrivare, in casi estremi, a situazioni di dipendenza da Internet, dove la dipendenza non è data dalla sostanza, ma dal comportamento, che risulta impossibile da smettere e che occupa sempre maggior tempo.  Internet ha anche trasformato alcune tipiche dipendenze (es. dipendenza da Casinò sostituita da Casinò on line), eludendo alcuni ostacoli, facilitando la vita di chi ne è affetto (che non deve più spostarsi, inventare scuse, ecc.), permettendo di vivere la patologia dentro le mura di casa. Tutto diventa quindi molto più pericoloso. I problemi rimangono, anzi si aggravano, ma cambiano forma con le evoluzioni del tempo.
Le persone che soffrono di dipendenze hanno difficoltà nella gestione delle emozioni e difficoltà relazionali. Tra i giovani spesso emerge una frattura nel normale flusso delle relazioni. Ad esempio si dà molta intimità a persone sconosciute (sesso, ecc.) e poi ci si stupisce di un saluto. C’è una sessualità molto spinta ma c’è un’altissima confusione su quello che dovrebbe essere la crescita affettiva, il normale sviluppo di una relazione (il procedere per prove e tentativi, affrontando imbarazzo, paure, gioie). Molto spesso il contatto fisico diventa l’unica comunicazione che poi si blocca li. Nella mente di tanti ragazzi c’è proprio l’idea che si faccia così, che tutto sia perdonabile perché magari si ha bevuto (che è una scusante più che una causa), e che per l’atto sessuale non serva un legame, né serva crearlo successivamente. Questo spiega in parte la malsana abitudine tra i giovani di inviarsi foto intime o rubate con whats-app, non solo ai singoli, ma all’intero gruppo.
C’è inconsapevolezza che quello che mando in internet può essere divulgato tra tanti, e anche se cancellato, non potrà mai essere cancellato del tutto.  Si deve far capire ai giovani che quando invio qualcosa, devo essere consapevole che non ne ho più il controllo.
Noi adulti per primi dobbiamo capire che questi strumenti sono potentissimi e quindi si deve imparare ad utilizzarli. I giovani entrano in un mondo che non ha spazi, non ha confini delimitati.
I ragazzi sono di fronte ad una cybergiungla, ricca di risorse bellissime, ma con anche dei grandi pericoli e dei contenuti che nessuno, men che meno un giovane, è pronto a vedere.  Quindi a loro serve una bussola, e questa bussola non possiamo che essere noi adulti.  Possiamo stargli vicino, possiamo, ad esempio, vedere assieme dei video che parlano dei pericoli in internet e parlarne con loro. 
Ai nostri tempi c’era solo il telefono. Se volevo uscire con un amico:
1.      pianificavo “mi piacerebbe incontrare il mio amico domani e quando lo vedo glielo chiedo”;
2.      se non lo vedevo lo chiamavo al telefono, che solitamente era a  casa, in un luogo di passaggio, chiedevo il permesso di chiamarlo, visto che chiamavo un’altra casa (noi avevamo una visualizzazione di dove rispondeva l’altro, ora c’è un’assenza di immagine);
3.      i miei genitori mi davano delle regole (es. non si chiama a pranzo) che mi hanno insegnato ad aspettare;
4.      chiamavo in casa e sapevo che era come entrarvi, quindi salutavo, chiedevo permesso ecc.;
5.      se il mio amico studiava il genitore faceva da filtro e mi chiedeva di chiamare dopo.
Ora si perdono un sacco di passaggi. Non c’è la pianificazione. Manca tutta la parte legata al desiderio, che nasce quando si aspetta, si pensa, si immagina. Tutto va così in fretta che non abbiamo più tempo di desiderare.

Informazioni in pillole: per saperne di più!
Internet non ha spazi, non ha tempi. Un tempo c’era solo la TV, con un palinsesto determinato, con delle immagini controllate. Se pensiamo che alla TV un ragazzo sia poco protetto, in internet questo lo è ancora di più: posso fare tutto, non c’è una visione del tempo reale. Per questo con internet e videogiochi i ragazzi rimangono abboccati, come dei pesci…  la posizione davanti al PC o allo smartphone è tesa. Quando dicono, “mi rilasso un po’”, non è vero. Si distraggono ma non si rilassano. Si aumenta il carico di tensione.

Come funziona internet: se io uso un motore di ricerca, e cerco una parola chiave, i primi siti che escono, solitamente colorati, hanno un motivo economico, hanno pagato per stare li. L’ordine degli altri siti rispecchia la frequenza di clic, o perché ho già cliccato su questo sito in precedenti ricerche. Su diversi computer, pur utilizzando sempre la stessa parola chiave, escono delle liste diverse.  Anche le pubblicità (i banner) presenti nei siti dipendono dai siti che ho precedentemente cliccato o dalle ricerche precedentemente fatte: questo per aumentare in me il desiderio di acquistare un prodotto, o di ritornare in un certo sito. Internet che sembra un luogo magico, libero, non lo è!

I nuovi media impongono una delega delle informazioni, i piccoli non imparano più a memoria, sanno di trovare tutto in internet e sono demotivati nel memorizzare/ricordare/studiare. Dobbiamo quindi cercare di 1. Impostare bene le ricerche verificando le notizia (incrociando più siti, confrontandoli, ecc.) ; 2. Ragionando e analizzando il problema criticamente.

Le notizie in internet sono velocissime, ma mai verificate e controllate. Si creano una serie di pasticci e incomprensioni. Le smentite servono a poco. Le notizie possono essere distorte, perché è tutto troppo veloce per verificarle. I siti si strutturano in modo che sembra tutto vero.  Dobbiamo aiutare i piccoli a sviluppare una capacità critica.

Sindrome Folo (fear of life off line) – paura di essere fuori, paura di non essere connesso, paura di rimanere fuori dalle comunicazioni, ossessione a mostrare al mondo quanto siamo felici, di mettere tutto su internet perché altrimenti non vali niente. Si perde così l’importanza della persona “vera” quella che sta vivendo, tutte le energie sono date alla personalità on line. C’è un continuo confronto con gli altri, che appaiono sempre felici e perfetti, e questo svaluta sempre di più il proprio essere reale.

Spesso l’attenzione all’altro manca. E questo sta alla base del bullismo, che si aggrava maggiormente quando è Cyberbullismo: l’offesa on line viene moltiplicata, nasce l’ossessione di sentire ogni comunicazione on-line, il timore di aprire i messaggi… la vita delle vittime ne viene condizionata, non solo nel contesto in cui è nato il bullismo, ma in tutti i suoi contesti di vita.

Consigli  in pillole!
Se date uno strumento prima dovete conoscerlo bene: telefono, una console di videogiochi, un tablet, ecc. Cercate di capirne possibili funzioni utili e pericoli intrinseci. Senza scoraggiarsi per il fatto che i giovani sono più bravi di noi.  I ragazzi sono “nativi digitali”, non hanno differenze genetiche, ma sono iperstimolati. Noi magari ci mettiamo un po’ di più ma sappiamo quali pericoli evitare.

Gli adolescenti sono multitasking: leggono un libro, col computer acceso, il telefono in mano e le cuffie nelle orecchie. E’ vero che loro sono facilitati nel passaggio da uno strumento all’altro, ma è anche vero che riescono a fare tutto insieme? Forse l’errore è di noi adulti che non abbiamo dato loro un limite, che non abbiamo spiegato, e mostrato, che le cose fatte una alla volta vengono meglio. Aiutare i ragazzi a fare una cosa alla volta e a concentrarsi su una cosa alla volta è importante. Se questo non avviene perdono la capacità di concentrarsi. I ragazzi di oggi tendono ad essere più irrequieti, hanno difficoltà a stare fermi, sono meno concentrati. Essere continuamente stimolati aumenta l’adrenalina nel corpo e aumenta questa irrequietezza.

Facebook: si può avere a partire dai 13 anni. E’ importante seguire i figli nella creazione del proprio profilo. Servono delle regole, sul tipo di foto e informazioni da dare, sul fatto di dare l’amicizia solo a chi si conosce. Tutti i ragazzi tendono ad avere moltissimi amici.  Molti di più di quelle che effettivamente conoscono.  Questo porta ad accettare amicizie anche da sconosciuti, mettendoli in situazioni pericolose.

Pubblicare foto dei figli in internet può essere problematico perché fa passare il messaggio: “io posso pubblicare foto di altri senza chiedere. Mamma e papà non lo hanno chiesto a me” . Tutte le cose che noi facciamo assumono un significato. Noi adulti dobbiamo seguire le regole, oltre che darle.

Importante che i genitori si informino, leggano le conversazioni dei figli, assieme a loro naturalmente (Mai di nascosto), ne parlino… i genitori hanno il diritto e anche il dovere di guardare i messaggi dei figli, visto che se gli si dà uno strumento, gli si deve dare il modo di imparare, e come in tutti i campi questo implica controllo. Questo non vuol dire non avere fiducia in loro, ma aiutarli ad entrare in un mondo nuovo. Questo uso condiviso può anche creare maggior attenzione allo strumento stesso da parte dei giovani.

Età giusta per dare il telefono? Non c’è una regola. E’ importante concordare tra genitori concordare una tempistica ed delle regole comuni. E’ importante capire perché volete dare il cellulare, e comprendere se è legato alla vostra ansia.  Es. se lo do per andare in gita, lo devo motivare. Non deve passare il messaggio di svalutazione per le maestre, o l’idea che le gite sono pericolose… se dobbiamo solo ridurre la nostra ansia scegliamo uno strumento adeguato: es. alle medie non possiamo pensare di dare un apparecchio che abbia una funzione continua, quindi scegliere un cellulare senza internet.

I ragazzi chiedono lo smartphone molto presto, attenzione: bisogna patteggiare. La scusa  “lo hanno tutti” non è proprio vera. Sappiate dire no, sentite gli altri genitori.

Telefoni spenti la notte, tutti in una stanza. Non lasciate certi strumenti incondizionatamente nelle mani dei giovani.


Videogiochi: attenti all’età consigliata, non farli utilizzare per tempi lunghi perché si aumenta l’adrenalina (aggressività e, a lungo andare, rischio di Ictus), non farli utilizzare tutti i giorni. 

sabato 14 novembre 2015

Scadenza iscrizioni laboratori di approfondimento

Mercoledì 18 novembre scade la possibilità di iscriversi ai laboratori di approfondimento sul tema delle relazioni.


I laboratori per genitori si terranno a Cunevo di Sabato pomeriggio (Sabato 21 e 28 Novembre e Sabato 5 dicembre). >Per due ore i genitori potranno approfondire il tema delle relazioni nei bambini e di comprendere e confrontarsi su quali strategie possono essere usate per aiutare i bambini a stare meglio con gli altri.

Affiancati ai laboratori per adulti dei laboratori per bambini, dove attraverso il gioco, la lettura e le attività motorie i bambini potranno affrontare il tema delle relazioni.

Per qualsiasi chiarimento o iscrizioni (sono ancora disponibili pochi posti) alberodellerelazioni@gmail.com

venerdì 6 novembre 2015

serata sulle relazioni tra pari e laboratori


Il 13 novembre a Flavon, nella sala civica del Municipio, Gianluca Gini presenterà la serata dal titolo: RELAZIONE TRA PARI: AIUTARE I BAMBINI A STARE BENE CON GLI ALTRI. Lo psicologo cercherà di fornire delle chiavi di lettura basilari per comprendere la vita relazionale dei bambini e dei ragazzi, rispondendo alle seguenti domande: Come funzionano le relazioni con le altre persone? Quando il bambino diventa competente nel gestire tali relazioni? I bambini sono tutti uguali nel modo in cui si relazionano con gli altri? Quali sono i comportamenti che segnalano un positivo o negativo adattamento sociale? L’incontro affronta queste ed altre domande cruciali non solo per i genitori, ma per tutti coloro che si confrontano con i processi di crescita dei bambini.

A seguito di questa serata introduttiva sono previsti un ciclo di tre laboratori di approfondimento tenuti da Lorenza Dallago che permetteranno ad un piccolo gruppo di genitori di confrontarsi sul tema delle relazioni, di portare la loro esperienza a sostegno del gruppo e di analizzare in dettaglio le strategie per sostenere i figli nello sviluppo delle abilità sociali, necessarie per gestire al meglio la propria vita relazionale. I laboratori si terranno il sabato pomeriggio (21, 28 novembre e 5 dicembre ore 16.00-18.00) a Cunevo e saranno affiancati da laboratori per i figli dei partecipanti gestiti dalla cooperativa La Coccinella.  

Le iscrizioni per i laboratori si chiuderanno mercoledì 18 novembre.

Informazioni e iscrizioni
-          alberodellerelazioni@gmail.com
-          338-9229898

domenica 1 novembre 2015

sunto serata sui disturbi alimentari

La serata ha cercato di percorrere un viaggio, dal momento in cui l’adolescente si trova in un mare in burrasca, che non sa gestire, ad un primo approdo su un isola apparentemente felice, quella del disturbo alimentare, e poi come da questa isola si può ripartire… di seguito i passi principali del dialogo a due voci tra Lisa Tomaselli (psicologa) e Daniela Bonaldi (che porta la sua esperienza come malata di anoressia e bulimia).

INTRODUZIONE

Cosa sono i disturbi del comportamento alimentare? Sono disturbi che riguardano una fase della propria vita in cui diventa preponderante la paura di ingrassare e in cui vengono messi in atto una serie di comportamenti per controllare l’alimentazione e il peso del proprio corpo, con un’idea di magrezza che è sempre qualcosa “di più” rispetto al punto che si è raggiunto. I due disturbi principali sono:
  • -          l’anoressia, che è più conosciuta e di cui si parla di più, perché dà questo messaggio forte di dimagrimento, di deperimento;
  • -          la bulimia, che può sopraggiungere in seguito all’anoressia, o in fasi diverse della malattia, che vede delle crisi di abbuffata, dove c’è la sensazione di perdere il controllo e di doversi riempire, mangiando velocemente, mischiando dolce e salato senza pensare a ciò che realmente piace, affiancate dall’uso di strategie per placare il senso di colpa rispetto a quello che si è fatto, che possono essere esercizio fisico molto intenso, utilizzare lassativi o procurarsi il vomito. La bulimia è fatta per non essere vista, è nascosta. La persona non cala di peso e quindi è più difficile accorgersi che c’è qualcosa che non va. 

QUALCHE DATO

Il 70% delle ragazze dai 14 ai 19 anni è interessato a dieta e dimagrimento: è quindi abbastanza normale essere preoccupati per il proprio peso in adolescenza, anche perché questa fase della vita vede variazioni di peso che non sono dovute solo all’assunzione di cibo ma agli ormoni e allo sviluppo. Il tasso di rischio per i disturbi alimentari è di un ragazzo/a su 10, e questo non vuol dire di situazione conclamata ma di rischio elevato (14% per le ragazze, 4% per i ragazzi), con tentativi di dieta che possono essere pericolosi. L’età più delicata e di facile esordio dei disturbi è proprio l’adolescenza.
I SEGNALI D’ALLARME
Come genitori, cosa possiamo notare, a cosa dobbiamo stare attenti?
Sicuramente deve far sospettare un’attenzione eccessiva verso quello che si mangia, verso la spesa, verso le calorie e poi anche un senso di segreto (bugie sull’aver mangiato o meno). Una cosa che spesso ritarda i sospetti è che spesso chi sta entrando in questo problema difende i suoi comportamenti alimentari anomali, il non mangiare, con delle scuse fisiche (ho mal di denti, mal di pancia, lo stomaco gonfio…). Si rifiutano di mangiare dicendo che non stanno bene e questo distoglie l’attenzione dei genitori dal vero problema.
Oltre a questo un segnale è che il tema dell’alimentazione sia tanto presente, la persona malata tende a parlarne molto, a controllare tutto (i cibi, la spesa…): l’alimentazione inizia a diventare una parte centrale della vita della persona.
Altro segnale è la tensione che si respira al momento del pasto: invece di diventare un momento colloquiale e di incontro, si manifesta rabbia oppure la presenza di comportamenti strani, es. tagliare molte volte il cibo, dividerlo per colori…

L’ESORDIO DEI DISTURBI ALIMENTARI

I disturbi alimentari sono complessi, ma non si possono ridurre al voler dimagrire o al voler assomigliare a un modello ideale: questo può indurre a intraprendere una dieta. Chi soffre di disturbi alimentari ha dei sentimenti dolorosi che non sa come gestire. I fattori predisponenti sono la fragilità della persona, la maggior sensibilità (che possono renderla più vulnerabile rispetto alla realtà) e qualche evento scatenante (un evento, un accadimento di fronte al quale una persona pensa di non avere le armi, le forze per affrontare il problema). Il disturbo alimentare diventa una specie di salvagente, una specie di spiaggia, dove chi è naufragato arriva con la sensazione di essersi salvato. Il disturbo è un posto sicuro, perché soprattutto con l’anoressia, si provano una serie di sentimenti di gioia, di benessere che fanno stare meglio. Quando si smette di magiare a livello patologico ci si sente in piena forza, con molta energia, in grado di poter aver tutto sotto controllo. Si è consapevoli di riuscire a fare quello che le altre persone non fanno (riuscire a vivere senza cibo) e questo fa sentire più forti. C’è un allontanamento sempre più radicale dal resto del mondo. Il vedere il proprio corpo dimagrire dà forza e, all’inizio, il piacere più agli altri è un rinforzo potente. L’idea di mangiare significa rinunciare a questa forza e a questo controllo, che riguarda sia le emozioni sia il mondo che ci circonda. Per questo è così difficile dire “ok, ricomincio a mangiare”, e più il tempo passa più le cose diventano difficili.
Con la bulimia è diverso, si provano sentimenti molto dolorosi, le crisi sono incontrollabili e durante e dopo queste crisi ci sono forti sentimenti di vergogna, di sensi di colpa, di impotenza, anche di fronte alla forza di questi attacchi.
Un fattore comune sia per anoressia che per bulimia è il dolore che sta dietro a queste malattie.
I fattori scatenanti possono essere i più vari, e le storie delle persone malate lo dimostrano. Possono riguardare un problema fisico, ad esempio un ostacolo fisico che fa interrompere uno sport su cui si è investito molto, piuttosto che un trasferimento, la perdita di un proprio caro ecc. tutti eventi che vengono vissuti dalla persona come una “non scelta”.

DISTURBO ALIMENTARE E ADOLESCENZA

Il fatto che l’esordio accada con maggior frequenza in adolescenza è abbastanza facile da comprendere. L’adolescenza è caratterizzata da tre aspetti, che facilmente si intersecano con i disturbi alimentari:
  • 1.      il grande cambiamento sia fisico, sia a livello di pensiero (nasce il pensiero per ipotesi, nascono le grandi domande, di tematiche esistenziali) sia a livello emotivo, strettamente legato alla sessualità ed alla scoperta di un corpo maschile o femminile, diverso da prima; questo fa sentire in balia degli eventi, fa credere di non avere controllo. In questo momento l’anoressia dà maggior controllo, o l’apparenza di un maggior controllo, sui cambiamenti a cui è esposto il proprio corpo;
  • 2.      il processo di separazione e autonomia dai genitori, c’è un rifiuto di quello che viene proposto dalla famiglia mentre l’interesse viene rivolto al mondo dei pari; il cibo ha un forte impatto sociale, diventa centrale per la famiglia e molto spesso viene usato come segnale di forza nel contrasto con i propri genitori;
  • 3.      il giudizio e l’accettabilità: nel momento in cui sento di volermi esporre nel mondo sociale più ampio la preoccupazione riguarda la propria “giustezza” per gli altri; dagli anni ‘80 in poi l’aspetto corpo diventa centrale, quindi avere un certo tipo di corpo sembra un biglietto d’entrata per il successo.

LA MALATTIA E LE RELAZIONI CON GLI ALTRI

Quando una persona si ammala non sa a cosa sta andando incontro: l’iniziale benessere provato dal controllo sul cibo si scontra con la fatica di metter in atto alcuni comportamenti. Le cose cambiano pian piano: si devono creare bugie continue, in casa ed anche fuori per evitare un pasto, una pizza ma anche un caffè… è una continua fatica e tensione. Inoltre le persone accanto iniziano a preoccuparsi e a sottolineare l’importanza del cibo: le discussioni con i familiari creano scontri perché il desiderio di non mangiare/avere controllo è più forte. L’isolamento non è solo con la famiglia ma a poco a poco anche gli amici che, delusi dalle mille scuse, non chiamano più per uscire. L’anoressia porta ad un allontanamento dalle persone e dagli affetti, da una parte si vive e ci si chiude sempre di più in un mondo che rischia di diventare solo il tuo e dall’altra si vivono gli altri come nemici, perché vogliono portarci via dalla isola che ci fa stare bene.
Con la bulimia si hanno delle percezioni diverse anche dei rapporti: spesso chi sta vicino non si accorge della malattia né dalla sofferenza che sta provando la persona. Il dolore però è forte, perché giorno per giorno si ha la conferma di non avere forza, di non essere in grado, ecc., e proprio questi vissuti di inadeguatezza portano ad allontanarsi dagli altri.
Queste relazioni “rotte” non sono irreversibili, le parti possono ritrovarsi quando chi è malato diventa consapevole del problema, e dalla parte dei familiari molta pazienza e la consapevolezza che non si è di fronte a un capriccio ma a un disturbo vero. Per fare questo è essenziale il lavoro dei professionisti che possono accompagnare questo riavvicinamento. Il percorso di cura può essere parallelo, sia per la famiglia, sia per il malato.
La barriera tra chi sta male e chi vorrebbe far star meglio è paradossale ma è importantissima. Il punto di vista di malato e familiari è totalmente diverso: per il malato il disturbo alimentare è la soluzione ai propri problemi, per la famiglia un comportamento distruttivo ed insensato. Questo porta a dover fare i conti con una profonda solitudine. I genitori/familiari hanno due urgenze: vedere che la persona stia meglio e capire cosa ho sbagliato e cosa posso fare per aiutarla.
Il ruolo della famiglia è importante. Lo stile familiare disimpegnato e invischiato possono avere a che fare con i disturbi alimentari. Estremizzando, le famiglie disimpegnate sembrano essere composte da soggetti che si conoscono poco, che vanno per la loro strada, senza condividere un progetto famigliare con gli altri membri. Questo può essere un tipo di clima che non risponde al bisogno fondamentale dei ragazzi di essere importante per qualcuno. I giovani non si sentono visti, non si sentono di valore, di non sentirsi sicuri. Non si capisce chi sono io per l’altro. Le famiglie invischiate minano invece un altro bisogno fondamentale, quello di esplorazione, di conoscenza del mondo e dagli altri. Sono quelle famiglie in cui c’è molto pasticcio degli spazi di uno e dell’altro, in cui il progetto dei genitori diventa il progetto dei figli, in cui la felicità di uno dipende dalla felicità dell’altro, dove il resto del mondo è visto come negativo, al contrario della propria famiglia, creando timori e paure inutili.

LA MOTIVAZIONE A GUARIRE

Al contrario di altre malattie, chi ha un disturbo alimentare ha molta paura di guarire, perché ha paura di lasciare quel mondo che lo ha aiutato in momenti di grossa difficoltà. La paura di quello che non si conosce, dell’ignoto, immobilizza, e si rimane in uno stato –la malattia- che è visto come l’unico in grado di permettere di sopravvivere. C’è la paura che guarire modifichi completamente la propria persona, faccia diventare una persona in cui non ci si riconosce più: non si capisce che la guarigione porta con sé una maturazione, una maggior consapevolezza, in grado di far gestire il proprio dolore come fonte di crescita. Per questo è essenziale l’aiuto degli altri, aiuto medico/professionale ed aiuto emotivo/spontaneo, ricco di ascolto senza giudizio, stando vicino.
La consapevolezza che qualcosa non stia andando per il verso giusto nasce abbastanza spontaneamente nel malato, il fattore che fa virare verso un cambiamento positivo è l’abbandono dell’idea che devi farcela da solo, che devi dimostrare che sei più forte, che se chiedi una mano o dici che non ce la fai da solo vuol dire che sei più debole. Altro aspetto che facilita il non aver paura di chiedere aiuto è il non doversi vergognare, il sapere che dall’altra parte c’è chi ti vuole bene a prescindere: si creano spesso dei taboo, di temi in cui non si può parlare. E’ importante attivare l’ascolto, accettare la tristezza.

DALLA CONSAPEVOLEZZA ALLA CURA

La consapevolezza emerge quando i benefici della malattia vengono superati dagli aspetti negativi, non tanto sul corpo (cosa che è chiara agli altri), ma sulle relazioni, sulle rinunce che si devono fare (a lungo andare è impossibile fare sport, studiare…). Questo è più “facile” per la bulimia che è maggiormente caratterizzata da sofferenza, sconforto, tristezza, da colpevolizzazione, anche derivante dall’esterno. Intraprendere un percorso di cura non è un percorso lineare, ma è un percorso ricco di alti e bassi, con passi avanti e passi indietro. E’ un percorso difficile e profondo.
L’aiuto può derivare dallo psicologo (nella fase relazionale e emotiva) e del dietologo e dal nutrizionista (per il corpo ed il fisico), e deve esserci l’accompagnamento della famiglia che deve sostenere il processo di cambiamento. C’è la possibilità di fare trattamenti residenziali, che servono in alcuni casi. E’ importante l’aiuto esterno perché spesso l’urgenza dei famigliari di far star bene l’altro contrasta con il bisogno di chiarezza, di comprendere le cause, con il bisogno di essere accettato senza giudizio del malato. Il professionista esterno può aiutare proprio in questo, nel non giudicare, nel sostenere il cambiamento e la comprensione.

L’AIUTO ALLA FAMIGLIA

Quando si ammala qualcuno, tutta la famiglia si ammala in un certo senso perché tutti sono coinvolti. Vedere che un tuo caro sta male ti devasta dal punto di vista psicologico, perché si ha la paura che succeda qualcosa, soprattutto quando la malattia va avanti e il rischio per la vita è alto. Dall’altra è forte il senso di impotenza perché non si sa cosa fare, la persona malata si allontana, e più ci sono tentativi di avvicinamento più sembra rompersi di più la relazione. Servirebbe un percorso parallelo affianco a quello del malato, che deve essere un percorso di consapevolezza, di aiuto, per ricominciare insieme una nuova relazione, un nuovo percorso comune. Il percorso per i genitori dipende molto dal contesto: l’approccio solo sul singolo è sempre meno utilizzato, perché inefficace. Il tipo di lavoro con i genitori può essere di diverso tipo. La famiglia soffre e deve essere aiutata, nel contempo è una risorsa importante per il cambiamento del singolo, che può fare la differenza sulla guarigione.

I POSSIBILI VICOLI CIECHI DA EVITARE

Quali sono i vicoli ciechi in cui ci si può infilare, come genitori o cari di una persona malata? I modi di pensare poco funzionali?

  • -          “La volontà basta, la malattia è causa di mancanza di volontà”: già ci si sente persi e in colpa e questo non fa che aumentare i problemi. Bisogna invece capire che serve chiedere aiuto, non si è da soli e si deve permettere agli altri di aiutarci.
  • -          “Dove ho sbagliato e dov’è la mia colpa?”: il trovare la colpa, se questa c’è, non porta da nessuna parte. E’ invece necessario arrendersi alla complessità di questa malattia che ha mille cause e nessuna, e cercare di capire che gli sbagli sono umani, ma non esiste una realtà di causa-effetto;
  • -          “Posso salvarti io” oppure “arrangiati, vivi la tua vita”: E’ normale vivere uno o l’altro sentimento, magari anche entrambi in momenti diversi, ma nonostante gli estremi e i momenti difficili, è importante rimanere presenti e stare accanto alla persona malata.

sabato 24 ottobre 2015

serata su relazioni e web


Internet, smartphone, App, Whattsapp, Consolle di gioco online... Ma quante cose nuove dobbiamo imparare noi adulti?!
Eppure non possiamo rimanere indietro; i nostri bambini e ragazzi hanno continuo contatto con queste tecnologie che a noi possono sembrare tanto nuove, ma che per loro sono parte della quotidianità.
Sono intuitivi, ci stupiscono per la rapidità con la quale maneggiano questi strumenti, mentre noi cerchiamo ancora il libretto delle istruzioni o decidiamo, più facilmente, di farci aiutare da loro... Forse per la prima volta nella storia sono i piccoli che insegnano ai grandi e questo può indurci in errore se pensiamo che, sapendo fare tante cose nuove che noi non pensiamo saremmo stati capaci di fare alla loro età, siano già autonomi. Possono essere iper-stimolati e possono saper far funzionare questi strumenti, ma ciò non significa che sappiano già come gestire il mondo delle loro emozioni e comprendere profondamente come vivere le relazioni con gli altri, fuori dai messaggini.
Dunque è su questo che dobbiamo puntare; possiamo aiutarli a comprendersi e comprendere, possiamo guidarli nella rete con la bussola dell'esperienza che noi già abbiamo sul terreno emotivo e relazionale.
La posta in gioco è alta. Da piccoli si ha bisogno di regole, e in internet, in questo nuovo mondo che non ha tempo e limiti di spazio, è ancora più importante avere occhio alle conseguenze di ogni cosa si faccia online. Perché non si tratta più di televisione ma di un terreno di interazione in cui tutto ciò che è inserito in internet rimarrà per sempre e in cui, anche se ai nostri occhi tutto è molto virtuale, per loro è tutto assolutamente reale.
Si possono utilizzare consapevolmente le infinite possibilità della rete solo se si sa come proteggersi dai rischi, dal cyber-bullismo alle dipendenze, e nuovi concetti, quali “triangolazione” per la verifica e la ricerca di contenuti validi, o “identità digitale”, o “Fomo”  debbono entrare nel nostro vocabolario, se vogliamo essere per loro guide attente e competenti.

All'incontro di venerdì 30, potremmo esplorare insieme questo mondo, immaginando di essere al loro posto ed attivando tutto ciò che conosciamo bene e che a volte pensiamo non valga più, ma vale ancora di più, in quest'epoca.
Scopriremo quale impatto ha internet sul modo di ragionare (nostro e dei più piccoli), di sentire emozioni ed affetti, e come questo nuovo mezzo possa tenere svegli per ore ed ore (“vamping”) i nostri piccoli che crediamo dormire al sicuro nelle loro camerette.
Parleremo di gruppi Whattapp e di videogiochi, di violenza in rete e di cyber-bullying, di situazioni di dipendenza e, di modi per fare ricerche accurate e di possibilità di contatto e studio... e parleremo di come aiutarli ad armonizzare tutte queste novità con la capacità di giocare con gli amici all'aria aperta e di guardare negli occhi la persona che ti piace e parlarle, anziché scriverle.


sabato 10 ottobre 2015

Serata su disturbi alimentari: di cosa si parlerà?

La serata del 23 ottobre a Cles dedicata ai disturbi alimentari racconterà, a due voci, come una persona possa vivere nella sua crescita un momento di tempesta che la porta ad approdare ad un disturbo del comportamento alimentare, cercando di comprendere sia il suo vissuto, sia il ruolo della famiglia e delle persone vicine. Le conduttrici delle serata descriveranno un processo in cui:
1.    -una persona che vive un momento in cui si sente disorientata, triste o alla deriva, può cercare di riguadagnare un senso di controllo, di sollievo e di potere attraverso il rapporto con il corpo e l’alimentazione;
2.    progressivamente il disturbo alimentare può diventare come un labirinto che allontana dagli altri e dai propri progetti, ma rispetto a cui non si vede via d’uscita;
3.    -le persone care, attorno, si accorgeranno di alcuni cambiamenti, difficili da interpretare e spesso letti come una fissazione incomprensibile;  
4.    -l’avvio di un percorso di aiuto apre alla possibilità di comprendersi e farsi comprendere, andare incontro e lasciarsi incontrare, sia sul versante specialistico, sia con le persone care.

Le due “voci narranti” saranno quelle di una psicologa psicoterapeuta che si occupa professionalmente di questi temi e di una persona che ha conosciuto personalmente il problema ed ha scelto di mettere la sua esperienza a disposizione del lavoro di prevenzione ed aiuto.

domenica 4 ottobre 2015

serata sui disturbi alimetari

Invitiamo a partecipare alla serata sui disturbi alimentari che si terrà a Cles il 23 ottobre.


Un'esperta del settore e chi ha vissuto questo dramma in prima persona si confronteranno in un dialogo a due voci, in grado di spiegare e raccontare un problema che affligge ragazze e ragazzi e che può portare a gravi conseguenze sulla salute del singolo e sul benessere di chi gli sta accanto. Una finestra che si apre verso un mare in burrasca di cui spesso non si conosce l'origine e in cui tutti vengono travolti.

giovedì 24 settembre 2015

Laboratorio emozioni - parte 3

La rabbia nei bambini e negli adolescenti


Una delle emozioni che più preoccupa i genitori, anche quelli frequentanti il laboratorio, è la rabbia. Come gestire la nostra rabbia nei confronti dei figli? Come insegnare a gestire la rabbia in modo adeguato? Queste le domande più frequenti che venivano poste.
Ecco alcune considerazioni.
Tutti i bambini, come tutte le persone, si arrabbiano. Quando ci sentiamo minacciati, rispondiamo immobilizzandoci (freeze), fuggendo (flight) o aggredendo (fight). La rabbia è l’espressione corporea dell’aggredire. Ma noi non rispondiamo con rabbia solo a minacce esterne. Noi rispondiamo con rabbia anche ai nostri stessi sentimenti o per paura di alcune emozioni. Quindi quando abbiamo paura, ci sentiamo feriti, proviamo dolore, delusione o sofferenza, tendiamo ad attaccare per difenderci da queste emozioni dolorose. Questo è ancor più tipico nei bambini, che hanno maggior difficoltà ad autoregolarsi.
Quando i bambini si arrabbiano, attaccano il fratellino (che ha rotto il loro gioco), i genitori (che non sono stati giusti con loro), gli insegnanti (che li hanno messi in imbarazzo) o i compagni prepotenti (che li hanno spaventati). Avere adulti attorno che gestiscono in modo adeguato la rabbia è importante, soprattutto per affinare le seguenti abilità:
1.      Controllare gli impulsi aggressivi: Verso i 3-4 anni i bambini dovrebbero essere già in grado di tollerare lo sbalzo di adrenalina tipico della rabbia, senza dover picchiare nessuno. Importante è che gli adulti accettino la rabbia e rimangano calmi, così da poter insegnare i modi per calmarsi senza far male a nessuno (NB. L’attacco nei confronti dei fratelli dura più a lungo…)
2.      Riconoscere l’emozione celata dalla rabbia: Quando il bambino comprende il dolore per il gioco rotto, la delusione verso l’ingiustizia dei genitori, la vergogna per non aver risposto in classe e la paura causata dai compagni, può crescere e passare oltre. Non ha più bisogno di arrabbiarsi per difendersi da queste emozioni. Se invece non aiutiamo il bambino a comprendere la fonte della sua rabbia, continuerà a perdere le staffe, senza risolvere il vero problema.
3.      Risolvere costruttivamente il problema: L’obiettivo ultimo è quello di usare la rabbia come una spinta per cambiare la situazione così che questa non si ripeta. Ad esempio: spostare il gioco dove il fratello non può prenderlo, farsi aiutare dagli adulti a gestire i prepotenti, ecc.. Questa ricerca di soluzioni può essere fatta solo quando il bambino è calmo. Il bambino deve sentirsi sicuro di poter esplorare la sua rabbia, e capire l’emozione che ci sta sotto; solo dopo aver fatto questo si può passare alla ricerca di soluzioni.

Ma i genitori come possono aiutare?
1.      ricordarsi che tutte le emozioni sono legittime: Solo alle azioni si può porre un limite. Se i bambini bloccano l’emozione, questa non è controllabile, e si rischia l’aggressione. Se invece è espressa, viene verbalizzata e non agita.
2.      porre limiti: Accettare le emozioni non significa accettare le azioni. Picchiare non è accettabile. Se i bambini continuano a farlo chiedono aiuto e chiedono all’adulto di stabilire un limite. Dire “Arrabbiati pure quanto vuoi, ma non fare del male e non rompere nulla. Vedo che sei arrabbiato, ma devo proteggere tutti.”
3.      siate il contenitore e il testimone della rabbia di vostro figlio. Se lui non ce la fa bloccatelo con un abbraccio, facendogli capire che accettate la sua rabbia, e lo state aiutando a non fare del male a nessuno. Se i bambini rompono cose o fanno male, questo non è d’aiuto, ma somma alla rabbia il senso di colpa e l’idea di essere persone cattive.
4.      non mandare il bambino a calmarsi da solo: Pensate che i bambini, soprattutto se piccoli, hanno bisogno del vostro amore e della vostra comprensione proprio quando la “meritano di meno”. Invece di usare il “time out” che dà ai bambini il messaggio di essere da soli con questa emozione così grossa e paurosa, provate il “time in” che significa stare col vostro bambino ed aiutarlo a gestire la sua emozione. Vedrete quanto il bambino mostri maggior autocontrollo quando usate il time-in proprio perché si sente meno incapace e solo.
5.      state vicino al bambino quando è ferito: Se sapete cos’è successo riconoscetelo: “sei così arrabbiato perché la tua torre è caduta”. Se non lo sapete dite quello che state vedendo “stai piangendo” e date un permesso esplicito “Va bene, tutti hanno bisogno di piangere (o di arrabbiarsi, o di essere tristi….) a volte. Starò qui con te fino a che non stai meglio”. Se vi dice di andar via dite: “Tu vuoi che me ne vada. Io mi sposto ma sono qui vicino. Non mi piace lasciarti da solo con queste brutte emozioni (o emozioni così pesanti!)”.
6.      state calmi. Urlare a un bambino arrabbiato rinforza i sentimenti che prova già e lo fa sentire in pericolo. Renderete solo la bufera più forte. Il vostro lavoro è quello di ripristinare la calma, vostro figlio può comprendere come migliorare solo da calmo. Se siete abituati ad urlare, pensate che il vostro comportamento è un modello, e non potete pretendere quello che nemmeno voi sapete fare. I bambini devono capire che la loro rabbia o le altre emozioni negative non sono così paurose come sembrano –dopo tutto la mamma e il papà non ne hanno paura. La vostra presenza li farà sentire al sicuro, e questo li aiuterà a ragionare e a tranquillizzarsi
7.      date modo ai vostri bambini di sfogare la rabbia sul momento. Dare un pugno ad un cuscino, ma anche battere i piedi, oppure disegnare o scrivere perché si sente arrabbiato e poi strappare il foglio in piccoli pezzi: lasciate “agire” la rabbia in un modo sano. Potete poi aiutare a rilassarsi (il respiro della candela, soffiando lentamente su ogni dito-fiamma oppure inspirare fino a 4 dal naso, espirare fino ad 8 dalla bocca). Quando è calmo potete fare assieme una lista delle cose costruttive da fare per gestire l’emozione negative e metterla visibile in casa. Lasciate che sia il bambino a scriverla o ad aggiungerci immagini, di modo che la senti sua. Usatela anche voi quando vi sentite arrabbiati.
8.      aiutate il bambino a capire i “segnali di avviso”: Quando è stata rilasciata l’adrenalina, è difficile controllare la rabbia. L’unica cosa che possiamo fare è essere un porto sicuro nella tempesta. Ma possiamo aiutare il nostro bambino a capire i segnali che precedono la sua irritazione e aiutarlo a calmarsi: il corpo è più teso, i denti sono serrati, cambia il tono della voce (si abbassa o si alza), c’è agitazione: “Vedo che ti stai irritando. Proviamo a calmarci un po’ e a trovare una soluzione.”
9.      aiutate il bambino a sviluppare l’intelligenza emotiva. I bambini che si sentono a proprio agio con le loro emozioni gestiscono meglio la rabbia. Non negate o banalizzate i sentimenti negativi, la rabbia, la paura. I bambini cercano di reprimere le loro paure, la gelosia, le ansie, ma le emozioni represse prima o poi scoppiano e creano danni. I bambini che temono le loro emozioni, rischiano a lungo andare di avere bisogno di un aiuto professionale.



E se il figlio è adolescente?
Negli adolescenti è ancora più chiaro che la rabbia è una maschera per nascondere altre emozioni: frustrazione, imbarazzo, tristezza, dolore, paura, vulnerabilità, ecc. I livelli di queste emozioni sembrano più forti, e anche le reazioni lo sono, mettendo i giovani nei guai o esponendoli a gravi rischi. Che fare?
-          Stabilire regole e conseguenze: come per i più piccoli, tollerare la rabbia ma non i modi inadeguati di esprimerla.
-          Individuare cosa sta sotto la rabbia, quale emozione sta mascherando.
-          Individuare i segnali premonitori.
-          Individuare modi positivi per alleviare la rabbia: fare movimento, sport, arte, scrittura creativa, ballo, ascoltare musica…
-          Lasciarlo da solo ma mostrarsi vicini; quando si calma è importante esserci per parlare.
-          Gestire la propria rabbia, anche di fronte a provocazioni ripetute: siamo i suoi primi modelli.
-          Usare l’ascolto attivo e dare attenzione massima quando c’è la disponibilità a parlare.


martedì 15 settembre 2015

Laboratorio sulle emozioni - seconda parte

ABC delle emozioni

Per essere buoni allenatori di emozioni dobbiamo conoscerne la loro origine. Una delle teorie a riguardo risulta particolarmente chiara, facile da comprendere e da applicare: l’ABC delle emozioni.
Spesso pensiamo che siano le cose che ci accadono (A) a generare l’emozione ed il conseguente comportamento (C): ad esempio vengo preso in giro (A) e quindi mi arrabbio (C) e offendo l’altro.



Questo è un modo impreciso di spiegare le emozioni. In effetti tra A e C c’è qualcos’altro: i nostri pensieri riguardo l’evento. Se nell’esempio precedente il mio pensiero è “Non lo sopporto, ora gliela faccio pagare” sarò arrabbiato e offenderò, ma se invece penso “E’ terribile, non valgo nulla” sarò triste e piangerò.




Sono spesso i pensieri, e non quello che succede a farci sentire in un certo modo.
Se al punto B prevalgono pensieri realistici e oggettivi riguardo all'evento attivante, la reazione emotiva risulterà adeguata. Se invece prevalgono distorsioni della realtà o valutazioni esagerate o estremamente negative, ne deriverà, al punto C, una reazione emotiva e comportamentale disturbata. I pensieri distorti, irrazionali, dannosi sono una brutta abitudine, un virus mentale che possiamo riuscire a debellare. Come possiamo classificare questi pensieri inadeguati:

1.      Doverizzazioni: “Io devo assolutamente…!”; “Tu devi per forza…!” “Il mondo intero e le condizioni in cui vivo devono ...!”
2.      Catastrofismo: “è terribile”, “orrendo”;
3.      Insopportabilità: “non sopporto che...”, “non lo tollero”, “è insostenibile…”.
4.      Svalutazione: consiste nel giudicare una persona nella sua globalità “Hai fatto una cosa stupida, quindi sei uno stupido”. Porta a far uso di etichette che esprimono giudizi globali.
5.      Condanna: giudizio "morale" sulla persona. “Sei un mascalzone e la devi pagare”. Può essere rivolta sia agli altri che a se stessi.
6.      Pensieri del tipo sempre o mai: pensieri che tendono a generalizzare “sempre”, “mai”, “nessuno”, “tutti”.

Limitare o eliminare questi pensieri permette di agire e reagire diversamente alle situazioni che ci circondano.
Altro punto fondamentale: molto spesso si pensa di dover risolvere i problemi pratici, e non quelli emotivi
PROBELMI PRATICI
PROBLEMI EMOTIVI
“Mia figlia mi ha risposto male”
RABBIA
“Mio figlio non mi chiede aiuto”
TRISTEZZA

Vedremo che è meglio pensare prima ai problemi emotivi, e solo successivamente ai problemi pratici (se non si sono risolti da soli, modificando la nostra reazione emotiva).
Bisogna lavorare sui “B” (passando da doveri/pretese a desideri/preferenze): questo permette di sostituire le emozioni dannose (che bloccano la crescita personale, che intralciano la soluzione del problema, che rendono infelici) con emozioni più salutari, dove sia l’intensità e la gravità sono attenuate ma che hanno anche una qualità diversa.


Emozioni spiacevoli e dannose
Emozioni spiacevoli ma salutari
1.      Ansia e paura
2.      Odio e rabbia
3.      Disperazione e depressione
4.      Estrema frustrazione
5.      Senso di colpa
6.      Forte dolore
7.      Vergogna
8.      Gelosia estrema
9.      Umiliazione
10.  Odio verso sé stessi
1.      Preoccupazione
2.      Fastidio
3.      Tristezza
4.      Disappunto
5.      Rimorso
6.      Dispiacere
7.      Rammarico
8.      Lieve gelosia
9.      Imbarazzo
10.  Disappunto con intenzione di migliorare


I “B” sono delle brutte abitudini, che si attivano automaticamente ma che possiamo modificare. Da dove derivano i “B”?
1.      Dalla nostra storia personale e dai messaggi che ci hanno inviato le persone attorno a noi (genitori, familiari, amici, compagni, insegnanti…)
2.      Dalla società e dai Mass media
3.      Dal carattere e dalla propensione individuale
4.      Dalle conoscenze e dalle credenze che abbiamo

Come modifico i “B”?
1.       Pensando ad un modello positivo: un conoscente, un personaggio famoso o inventato che ammiro, chiedendomi come reagirebbe nella mia situazione
2.       Affinando le mie conoscenze e aspettative (che possono sfatate alcuni miei pensieri dannosi)
3.       Utilizzando l’immaginazione (della situazione problema e delle mie reazioni)
4.       Usando queste affermazioni di fronteggiamento, come una specie di mantra:
      1. “Le cose a volte vanno male, è duro ma posso sopportarlo”
      2. “Questo non mi piace, ma lo sopporto”
      3. “È difficile, ma posso farcela”
      4. “Questo non mi piace, ma posso affrontarlo”
      5. “È doloroso, ma non è la fine del mondo.”
Se ci alleniamo ad una buona gestione dei nostri “B” possiamo allenare i nostri figli ad una corretta gestione delle emozioni, sia con un adeguato esempio, sia esplicitando i “B” sottostanti alle loro reazioni.