Ti sei mai
chiesto come mai alcune persone sembrano bloccate nei loro problemi e nelle
loro situazioni negative? Un po’ come se si trovassero nelle sabbie
mobili e preferissero non muoversi per non sprofondare. Ci sono persone,
anche bambini e studenti, che (dall’esterno) ci danno l’impressione di vivere
nella più assoluta immobilità.
Prova
a pensare a un tuo amico, un tuo familiare o un tuo conoscente: ti viene in
mente qualcuno con questa caratteristica? Molto probabilmente sì. Sappi
che probabilmente si tratta di una persona vittima dell’impotenza appresa.
L’impotenza
appresa fu scoperta accidentalmente nel 1967 dallo psicologo americano Martin
Seligman, durante una serie di esperimenti di laboratorio.
Nei suoi
esperimenti, Seligman aveva scoperto che un animale sottoposto ripetutamente a
una scossa elettrica (senza possibilità da parte sua di evitarla),
una volta messo nelle condizioni di poter fuggire dalla gabbia per evitare la
scossa non lo faceva. In poche parole, l’animale aveva appreso che la
situazione negativa era inevitabile e non dipendeva dal suo comportamento, per
cui anche quando effettivamente poteva muoversi o saltare per fuggire non lo
faceva.
In
seguito Seligman ampliò i risultati di questi studi, estendendoli anche
agli esseri umani. In un altro esperimento, alcuni studenti erano in una stanza
nella quale era presente un forte rumore che ovviamente infastidiva i soggetti.
Gli studenti provavano a ruotare delle manopole o a premere dei pulsanti, ma il
rumore non cessava. Successivamente gli stessi studenti si trovavano in
un’altra stanza dove era presente lo stesso rumore assordante, il quale però
questa volta poteva essere controllato attraverso una manopola. Tuttavia
gli studenti tendevano a non provare ad interrompere il rumore, dal momento che
precedentemente avevano appreso che si trattava di una situazione fuori dal
loro controllo.
L’impotenza
appresa si riferisce quindi alla situazione in cui apprendiamo che non può
essere fatto nulla per controllare o migliorare una data situazione, per cui
tendiamo a non provarci nemmeno.
Un po’ come fanno
alcuni bambini e studenti che dopo un po’ di fallimenti, magari legati non
tanto al loro poco impegno ma ad altri fattori, non ci provano più e non si
ricordano degli eventuali successi passati. Il non fare impedisce a questi
bambini di avere ulteriori delusioni ed essi scelgono di non fare, sopportando le conseguenze negative di questa
scelta (le difficoltà con insegnanti o genitori ad esempio) perché un ennesimo
fallimento fa troppa paura.
Ma questo
apprendimento può avvenire anche “grazie” a chi abbiamo intorno, che con i
rimproveri continui, i commenti negativi sulla persona non fanno che far
credere nella propria incapacità. I rimproveri funzionano come le manopole che
non fanno smettere il rumore, rafforzando quindi l’idea negativa che la persona
ha di sé stessa, l’idea che comunque e qualunque cosa facciano non ci
riusciranno, perché in fondo sono loro “sbagliati”.
Purtroppo
questo stato d’animo è molto spesso antecedente alla depressione vera e
propria.
Come abbiamo
detto nella precedente post, questo si lega fortemente a come interpreto gli
eventi. Di fronte ad un compito andato male posso pensare: 1) Sono un incapace;
2) Sono troppo stupido per rispondere correttamente; 3) Non era un compito
adatto a me; 4) Sono stato sfortunato; 5) La maestra ce l’ha con me; 6) Non ero
in forma e non ho dato del mio meglio…
Notiamo subito
la differenza negli stili di pensiero, e intuiamo anche le conseguenze che essi
potrebbero avere per la persona in questione. La persona che pensa “Sono un
incapace” oppure “Sono troppo stupido (ha ragione mio padre che lo dice
sempre…)” tenderà ad identificare le cause degli eventi negativi come interne,
stabili e globali.
Cosa significa?
Significa che se mi sento un incapace oppure troppo stupido la colpa dell’insuccesso
sarà la mia (causa interna), le cose difficilmente potranno cambiare
(stabilità) e inoltre mi considererò un incapace in generale, non in
riferimento ad una specifica situazione (globalità).
Viceversa, la
persona che penserà “Sono stato sfortunato”, spiegherà l’evento negativo in
maniera esterna (dal momento che la causa non è imputabile a lui), instabile
(dal momento che non è detto che in futuro debba ripetersi la stessa situazione),
e specifica (dal momento che si riferisce al quello specifico episodio).
Mentre
quest’ultima modalità di pensiero è un potente scudo contro gli eventi
negativi, la prima modalità è tipica delle persone cronicamente abbattute,
depresse e senza speranza. Inoltre lo stile di pensiero
pessimistico tende col tempo ad auto-alimentarsi e ad aumentare i
suoi effetti negativi sulla persona.
I genitori hanno un rilevante
ruolo nel modellare il modo di pensare nei bambini. Fin dalla più tenera età il
genitore ha un importante ruolo nell’aiutare il bambino a crescere sicuro di
sé: il comportamento della madre sa
rispecchiare e rispondere alle azioni del suo piccolo (sorride al suo
sorriso... lo consola quando piange, lo alimenta quando ha fame...) ed è proprio
attraverso questa reciproca danza di manifestazioni che il bambino
impara ad acquisire il controllo delle situazioni.
Per molto tempo si è pensato
che sottolineare le mancanze, i difetti, gli errori aiutasse i bambini a
crescere forti, li spronasse a migliorare… Se questo può essere vero per alcuni
(molto pochi a dire il vero), per altri (la maggioranza) l’effetto che si
ottiene è il contrario. Le continue critiche non fanno che rimandarci
un’immagine negativa di noi stessi e se sono continuate, da parte di più
persone o avvengono su soggetti più fragili, possono creare problemi di
autostima, fino ad arrivare all’impotenza appresa. Chi abbiamo intorno ed i
loro commenti possono quindi influenzare fortemente l’immagine che abbiamo di
noi.
Come aiutare i bambini
una situazione di bassa autostima o di impotenza appresa?
•
Concentrarsi su un’area specifica della loro vita che appare
particolarmente carente e dove loro sperimentano impotenza appresa (la scuola,
lo sport…). Non tentare di cambiare molti aspetti contemporaneamente,
altrimenti si rischia l’effetto contrario… un passo alla volta, con pazienza!
•
Continuare a ribadire che è il bambino (in prima persona) che
può fare la differenza;
•
Evitare le critiche e bloccare le autocritiche del bambino,
relativizzando gli errori e tenendo presente che fanno parte della vita di
tutti noi. Fare degli errori non equivale ad essere degli stupidi, nessuno non
sbaglia mai;
•
Iniziare a complimentarsi con il bambino. Se fa qualcosa di
buono per qualcuno, è perché è una buona persona. Aiutare il bambino a
autocomplimentarsi e a riconoscere i suoi successi. Gli studi hanno dimostrato
che complimentarsi con noi stessi per le cose andate bene aumenta la capacità
di pensare in maniera più ottimistica;
•
Cercare di costruire un ambiente positivo. Se il bambino è
circondato da persone negative, che lo buttano giù aumentando i suoi pensieri pessimistici,
cercare di costruirgli un ambiente più stimolante in questo senso, ragionando
con gli altri (altri parenti, insegnanti…) sulle nuove modalità da utilizzare e
chiarendo il vostro progetto educativo;
•
Concentrarsi su cose che il bambino può controllare. Aiutarlo a
chiedersi sempre “Cosa posso concretamente fare per migliorare questa
situazione?”. E ricordare che è inutile spendere le proprie energie nel
tentativo di cambiare cose che, di fatto, non sono sotto il nostro controllo;
•
Dare una ricompensa (non concreta, basta un sorriso, un
abbraccio, un commento positivo) anche per i piccoli miglioramenti. Fare in
modo che anche il bambino si “autoricompensi”
premiandosi per ciò che ha raggiunto (dedichi del tempo al suo hobby
preferito, esca con gli amici, …).
Ricordiamoci
però che non esiste solo l’impotenza appresa, ma anche l’Ottimismo acquisito.
Seligman sostiene che chiunque può ritrovare il meglio di sé, dal
punto di vista emotivo:
riesaminando le predisposizioni negative, assaporando
le esperienze positive; facendo leva sul desiderio naturale di migliorare. Cerchiamo
di essere genitori positivi, in grado di crescere bambini capaci di rispondere
positivamente e con ottimismo alle sfide della vita…
“La sfida del nuovo secolo è studiare gli
aspetti positivi dell'esperienza umana. Si tratta di una psicologia
dell'esperienza
soggettiva positiva,
dei tratti individuali positivi, delle Istituzioni
positive,
che può migliorare la qualità della vita. ” Seligman
Vedi anche:
M.Seligman (2010) La
costruzione della felicità, Sperling & Kupfer
M.Seligman (2009) Imparare l’ottimismo, Saggi
Giunti