venerdì 26 agosto 2016

Emozioni di riuscita collegate alle motivazioni


L’incontro  con Daniela Raccanello ci ha permesso di chiudere il cerchio dell’Albero delle Relazioni. Noi siamo partiti all’inizio del 2015 parlando di emozioni, passando poi al tema delle relazioni, per poi approdare a quello delle motivazioni.
Parlando però di motivazioni allo studio, non si può che riprendere il tema delle emozioni. Emozioni e motivazioni hanno un forte impatto congiunto sul benessere e sulla riuscita scolastica.
Le prime emozioni studiate in ambito scolastico sono state gioia, ansia e noia. Attualmente si affiancano altre emozioni, più complesse, ma estremamente importanti per l’individuo a scuola:
- emozioni positive: gioia, speranza, orgoglio, sollievo, tranquillità…
- emozioni negative: ansia, noia, rabbia, vergogna, mancanza di speranza…
Le emozioni che caratterizzano i contesti di apprendimento, che si chiamano emozioni di riuscita, hanno una serie di cause e di conseguenze.
Alcune emozioni sono direttamente responsabili del risultato scolastico, e sono causate dalle motivazioni.
Come posso influire sulle emozioni di riuscita? Agendo direttamente sulle emozioni o sulle motivazioni. Quindi:
-       favorendo lo sviluppo della competenza emotiva dei figli:
o   Promuovendo l’espressione delle emozioni, sia positive sia negative: come precedentemente sottolineato i genitori non devono “bloccare” le emozioni dei figli, (inutile dire “Non essere arrabbiato”, “Non essere triste”), ma al massimo si possono bloccare le reazioni inadeguate a queste emozioni (“Vedo che sei arrabbiato, ma stracciare il quaderno serve a poco… Magari vai un’attimo in giardino a muoverti un po’, quando stai meglio e sei più tranquillo possiamo pensare assieme a come risolvere il problema”, “Sarei triste anche io se mi fosse capitato quello che è capitato a te, vieni qui, piangi pure…”
o   Sostenendo modalità adattive di regolazione delle emozioni, strategie sempre più autonome: aiutare quindi i figli a riconoscere l’emozione e a farvi fronte con metodi più adatti, non distruttivi o autolesionisti, ma cercando di ritrovare la calma e l’energia per affrontare il problema. All’inizio questa ricerca di soluzioni possibili può essere fatta assieme, come una sorta di allenamento. Poi sarà sempre più il bambino/il ragazzo che sentendosi più sicuro troverà le sue strategie.

-       Agendo sulle credenze motivazionali (su controllo, valore del compito) alla base delle emozioni: è importante chiarire e ribadire perché lo studio è importante, ma senza fare delle prediche astratte, ma chiarendo la bellezza di sapere, di poter scegliere…

giovedì 18 agosto 2016

L'impotenza appresa

Ti sei mai chiesto come mai alcune persone sembrano bloccate nei loro problemi e nelle loro situazioni negative? Un po’ come se si trovassero nelle sabbie mobili e preferissero non muoversi per non sprofondare. Ci sono persone, anche bambini e studenti, che (dall’esterno) ci danno l’impressione di vivere nella più assoluta immobilità.
Prova a pensare a un tuo amico, un tuo familiare o un tuo conoscente: ti viene in mente qualcuno con questa caratteristica? Molto probabilmente sì. Sappi che probabilmente si tratta di una persona vittima dell’impotenza appresa.
L’impotenza appresa fu scoperta accidentalmente nel 1967 dallo psicologo americano Martin Seligman, durante una serie di esperimenti di laboratorio.
Nei suoi esperimenti, Seligman aveva scoperto che un animale sottoposto ripetutamente a una scossa elettrica (senza possibilità da parte sua di evitarla), una volta messo nelle condizioni di poter fuggire dalla gabbia per evitare la scossa non lo faceva. In poche parole, l’animale aveva appreso che la situazione negativa era inevitabile e non dipendeva dal suo comportamento, per cui anche quando effettivamente poteva muoversi o saltare per fuggire non lo faceva.
In seguito Seligman ampliò i risultati di questi studi, estendendoli anche agli esseri umani. In un altro esperimento, alcuni studenti erano in una stanza nella quale era presente un forte rumore che ovviamente infastidiva i soggetti. Gli studenti provavano a ruotare delle manopole o a premere dei pulsanti, ma il rumore non cessava. Successivamente gli stessi studenti si trovavano in un’altra stanza dove era presente lo stesso rumore assordante, il quale però questa volta poteva essere controllato attraverso una manopola. Tuttavia gli studenti tendevano a non provare ad interrompere il rumore, dal momento che precedentemente avevano appreso che si trattava di una situazione fuori dal loro controllo.
L’impotenza appresa si riferisce quindi alla situazione in cui apprendiamo che non può essere fatto nulla per controllare o migliorare una data situazione, per cui tendiamo a non provarci nemmeno.
Un po’ come fanno alcuni bambini e studenti che dopo un po’ di fallimenti, magari legati non tanto al loro poco impegno ma ad altri fattori, non ci provano più e non si ricordano degli eventuali successi passati. Il non fare impedisce a questi bambini di avere ulteriori delusioni ed essi scelgono di non fare,  sopportando le conseguenze negative di questa scelta (le difficoltà con insegnanti o genitori ad esempio) perché un ennesimo fallimento fa troppa paura.
Ma questo apprendimento può avvenire anche “grazie” a chi abbiamo intorno, che con i rimproveri continui, i commenti negativi sulla persona non fanno che far credere nella propria incapacità. I rimproveri funzionano come le manopole che non fanno smettere il rumore, rafforzando quindi l’idea negativa che la persona ha di sé stessa, l’idea che comunque e qualunque cosa facciano non ci riusciranno, perché in fondo sono loro “sbagliati”.
Purtroppo questo stato d’animo è molto spesso antecedente alla depressione vera e propria.
Come abbiamo detto nella precedente post, questo si lega fortemente a come interpreto gli eventi. Di fronte ad un compito andato male posso pensare: 1) Sono un incapace; 2) Sono troppo stupido per rispondere correttamente; 3) Non era un compito adatto a me; 4) Sono stato sfortunato; 5) La maestra ce l’ha con me; 6) Non ero in forma e non ho dato del mio meglio…
Notiamo subito la differenza negli stili di pensiero, e intuiamo anche le conseguenze che essi potrebbero avere per la persona in questione. La persona che pensa “Sono un incapace” oppure “Sono troppo stupido (ha ragione mio padre che lo dice sempre…)” tenderà ad identificare le cause degli eventi negativi come interne, stabili e globali.
Cosa significa? Significa che se mi sento un incapace oppure troppo stupido la colpa dell’insuccesso sarà la mia (causa interna), le cose difficilmente potranno cambiare (stabilità) e inoltre mi considererò un incapace in generale, non in riferimento ad una specifica situazione (globalità).
Viceversa, la persona che penserà “Sono stato sfortunato”, spiegherà l’evento negativo in maniera esterna (dal momento che la causa non è imputabile a lui), instabile (dal momento che non è detto che in futuro debba ripetersi la stessa situazione), e specifica (dal momento che si riferisce al quello specifico episodio).
Mentre quest’ultima modalità di pensiero è un potente scudo contro gli eventi negativi, la prima modalità è tipica delle persone cronicamente abbattute, depresse e senza speranza. Inoltre lo stile di pensiero pessimistico tende col tempo ad auto-alimentarsi e ad aumentare i suoi effetti negativi sulla persona.
I genitori hanno un rilevante ruolo nel modellare il modo di pensare nei bambini. Fin dalla più tenera età il genitore ha un importante ruolo nell’aiutare il bambino a crescere sicuro di sé: il  comportamento della madre sa rispecchiare e rispondere alle azioni del suo piccolo (sorride al suo sorriso... lo consola quando piange, lo alimenta quando ha fame...) ed è proprio attraverso questa reciproca danza di manifestazioni che il bambino impara ad acquisire il controllo delle situazioni.
Per molto tempo si è pensato che sottolineare le mancanze, i difetti, gli errori aiutasse i bambini a crescere forti, li spronasse a migliorare… Se questo può essere vero per alcuni (molto pochi a dire il vero), per altri (la maggioranza) l’effetto che si ottiene è il contrario. Le continue critiche non fanno che rimandarci un’immagine negativa di noi stessi e se sono continuate, da parte di più persone o avvengono su soggetti più fragili, possono creare problemi di autostima, fino ad arrivare all’impotenza appresa. Chi abbiamo intorno ed i loro commenti possono quindi influenzare fortemente l’immagine che abbiamo di noi.
Come aiutare i bambini una situazione di bassa autostima o di impotenza appresa?
    Concentrarsi su un’area specifica della loro vita che appare particolarmente carente e dove loro sperimentano impotenza appresa (la scuola, lo sport…). Non tentare di cambiare molti aspetti contemporaneamente, altrimenti si rischia l’effetto contrario… un passo alla volta, con pazienza!
    Continuare a ribadire che è il bambino (in prima persona) che può fare la differenza;
    Evitare le critiche e bloccare le autocritiche del bambino, relativizzando gli errori e tenendo presente che fanno parte della vita di tutti noi. Fare degli errori non equivale ad essere degli stupidi, nessuno non sbaglia mai;
    Iniziare a complimentarsi con il bambino. Se fa qualcosa di buono per qualcuno, è perché è una buona persona. Aiutare il bambino a autocomplimentarsi e a riconoscere i suoi successi. Gli studi hanno dimostrato che complimentarsi con noi stessi per le cose andate bene aumenta la capacità di pensare in maniera più ottimistica;
    Cercare di costruire un ambiente positivo. Se il bambino è circondato da persone negative, che lo buttano giù aumentando i suoi pensieri pessimistici, cercare di costruirgli un ambiente più stimolante in questo senso, ragionando con gli altri (altri parenti, insegnanti…) sulle nuove modalità da utilizzare e chiarendo il vostro progetto educativo;
    Concentrarsi su cose che il bambino può controllare. Aiutarlo a chiedersi sempre “Cosa posso concretamente fare per migliorare questa situazione?”. E ricordare che è inutile spendere le proprie energie nel tentativo di cambiare cose che, di fatto, non sono sotto il nostro controllo;
    Dare una ricompensa (non concreta, basta un sorriso, un abbraccio, un commento positivo) anche per i piccoli miglioramenti. Fare in modo che anche il bambino si “autoricompensi”  premiandosi per ciò che ha raggiunto (dedichi del tempo al suo hobby preferito, esca con gli amici, …).
Ricordiamoci però che non esiste solo l’impotenza appresa, ma anche l’Ottimismo acquisito. Seligman sostiene che chiunque può ritrovare il meglio di sé, dal punto di vista emotivo: 
riesaminando le predisposizioni negative, assaporando le esperienze positive; facendo leva sul desiderio naturale di migliorare. Cerchiamo di essere genitori positivi, in grado di crescere bambini capaci di rispondere positivamente e con ottimismo alle sfide della vita…
 “La sfida del nuovo secolo è studiare gli aspetti positivi dell'esperienza umana. Si tratta di una psicologia 
dell'esperienza soggettiva positiva,
 dei tratti individuali positivi, delle Istituzioni positive,
 che può migliorare la qualità della vita. ” Seligman

Vedi anche:
M.Seligman (2010) La costruzione della felicità, Sperling & Kupfer
M.Seligman (2009) Imparare l’ottimismo, Saggi Giunti