domenica 31 gennaio 2016

riassunto serata relazioni tra pari

Presentando un’immagine ambigua, il dottor Gini ha fatto sperimentare direttamente ai genitori  la difficoltà di vedere il punto di vista dell’altro e l’arricchimento che si prova quando questo avviene.
Riuscire a vedere, a comprendere il punto di vista dell’altro è una delle principali competenze che un bambino deve sviluppare e, per fare questo, l’esperienza relazionale è la miglior insegnate. I bambini vivono relazioni verticali (con gli adulti) che hanno la funzione di dare loro sicurezza, accudimento, affetto, lo sviluppo di conoscenze e abilità. Esistono però anche le relazioni tra pari (orizzontali) che svolgono funzioni diverse e che non possono essere svolte dagli adulti. In generale queste ultime sono più difficili rispetto alle prime. Perché? Un pari è un bambino della stessa età, con le stesse competenze, conoscenze, ecc., l’interazione con gli adulti è facile perché la relazione è una relazione asimmetrica, l’adulto fa tanto, il bambino fa meno. Anche se proporzionato all’età del bambino, è l’adulto il protagonista. Nelle relazioni tra pari questo non funziona più, il mio coetaneo ha la stessa conoscenza mia, le stesse competenze, più o meno, la stessa capacità di gestire le emozioni e di seguire le regole, la stessa capacità di gestire i comportamenti… non c’è più un adulto che fa quello che io non so fare, che contiene i miei comportamenti e li guida. Le relazioni coi pari diventano quindi una palestra per lo sviluppo della personalità e delle competenze, perché nessuno si sostituisce all’altro ma sono, io bambino, che devo essere attivo, fare le cose (a volte bene, a volte male, ci correggiamo a vicenda). E’ da li che nascono i conflitti. Nelle relazioni con i coetanei i bambini apprendono cose che non potranno mai apprendere se fossero legati solo ad un adulto, che l’adulto non può trasmettere, non può insegnare al bambino. Ad esempio non può insegnare ne la cooperazione (lavorare insieme agli altri per ottenere qualcosa) né la competizione (tensione verso un obiettivo uguale). Queste due capacità sono fondamentali nel mondo adulto.
Come si sviluppano le relazioni orizzontali? Ecco alcuni momenti principali:
-          l’interesse per i coetanei nasce già nel primo anno di vita, i bambini sono predisposti ad entrare in relazione con i pari;
-          nel secondo anno di vita i bambini sono molto interessati all’altro, e iniziano le prime relazioni basate sul gioco (es. gioco parallelo);
-          2-4 anni esplosione di interesse e di attività fatte insieme. E’ qui che la funzione di  palestra è molto evidente. In questa età i bambini capiscono che stare con gli altri ha bisogno di ruoli che si alternano. E’ importantissima la funzione dei giochi, che è il loro modo per apprendere, in particolar modo:
o   il “far finta” che permette di assumere ruoli diversi, nel gioco si provano ruoli diversi, è un modo per sperimentarsi in ruoli non propri;
o   lo “scappa e prendi”, definisce due ruoli diversi, ma complementari, ruoli che servono tutti e due per far funzionare le cose (la nostra vita è tutta fatta di ruoli complementari, la comunicazione e la conversazione si basano su ruoli complementari);
o   la lotta, si basa su ruoli complementari, o scambio di ruoli. Si apprende che i ruoli non sono solo complementari, ma si possono scambiare: i ruoli si possono invertire. Tale gioco è utile anche per l’apprendimento del controllo motorio.
-          L’idea di amicizia si sviluppa: a 4-5 anni l’amico è il compagno con cui mi trovo bene a fare qualcosa di piacevole.
-          A scuola si sviluppa meglio il legame amicale: l’amicizia include idee più astratte, sono bambini con cui si condividono interessi e passioni. Gli amici sono importanti perché ti possono aiutare se ne hai bisogno.
-          In prima-adolescenza (alle medie) c’è il concetto di intimità, di condivisione di emozioni, di segreti. L’amicizia è uno scrigno, qualcosa di intimo e segreto. All’inizio è importante l’unicità, che implica un po’ di rigidità.
-          In adolescenza si sviluppa un concetto di amicizia molto intensa e forte, ma che può essere condivisa. Avere molti amici è un arricchimento e nulla toglie al rapporto che ho con ognuno di loro.
I giochi non sono un passatempo ma una fucina di idee e di apprendimento, è il modo dei bambini di scoprire il mondo.
Ci sono 5 aree di competenza socio-emotiva, aspetti fondamentali nella relazione con l’altro:
-          essere consapevoli di sé, conoscere sé stessi: es. riconoscere le proprie emozioni;
-          la capacità di autogestirsi: es. regolare le proprie emozioni, gestire lo stress, auto-motivarsi;
-          la consapevolezza degli altri e di come funzionano le relazioni: es. come assumere la posizione degli altri;
-          le abilità di relazioni: le abilità sociali, il saper fare nella relazione;
-          la capacità di prendere decisioni responsabili.
Come possiamo sviluppare questi aspetti? Con l’esercizio, sperimentandomi, sbagliando e riprovando, fino a che la cosa non mi verrà automatico e fluido. L’aiuto dell’adulto è importantissimo, se noi siamo proattivi nell’aiutare i figli, se siamo esempio positivo, le competenze saranno più solide e meglio sviluppate.
Molto passa attraverso il nostro stile educativo, la nostra modalità usuale di risposta. Ci sono due dimensioni:
1.      l’area affettiva che riguarda la trasmissione e la manifestazione dell’affetto e dell’amore. Questo dà sicurezza ai bambini, che si sentono accettati, anche quando sbagliano.
2.      L’area del controllo, l’aspetto delle regole, della disciplina, ma anche della responsabilizzazione e dell’autonomia. La guida verso l’indipendenza.
Se noi consideriamo queste due dimensioni creiamo diversi stili genitoriali:
-          genitore permissivo: eccede con la parte affettiva, senza dare regole;
-          genitore autoritario: eccede nella parte di controllo, essendo molto carente nella parte affettiva;
-          genitore autorevole, con elevato amore e controllo: una famiglia in cui si parla e si manifestano le emozioni, ma anche con dei no e delle regole precise; non è sempre facile bilanciare regole e affetto nella vita quotidiana ma è questa la sfida della genitorialità attuale.
Uno stile che sta apparendo sempre più frequente, ma che è fortemente da evitare, è quello definito “carling parenting” e che prende proprio nome dal gioco del carling. Sono quei genitori che come i giocatori del carling cercano di “scopare” via ogni difficoltà dalla vita dei figli, lisciando e creando una condizione ottimale per non trovare intralci. Questo porta i bambini, e poi i ragazzi, ad essere poco autonomi. Sono quei genitori che cercano di preparare il percorso della vita e facilitare la vita del figlio, sempre e comunque. In questo modo però il figlio non avrà mai modo di superare i suoi ostacoli e di crescere ed imparare. Volere troppo bene al figlio, non significa evitargli ogni dispiacere ed ogni difficoltà, ma stargli vicino e sostenerlo perché possa autonomamente superarle, ed eventualmente avere qualcuno con cui sfogarsi nel caso non ce l’abbia fatta.
L’autonomia, la capacità di gestirsi il tempo, di risolvere i problemi, di prendere decisioni non emergono se il genitore si sostituisce al figlio, ma si sviluppano se il genitore dà gli strumenti, le competenze le abilità per affrontare la vita e poi gli permette di farlo.
Ma come possiamo fornire queste abilità? Cosa possiamo fare? Quali strategie educative possiamo affrontare?
-          Ascolto attivo: spesso si pensa che non si parla abbastanza nelle famiglie. Forse attualmente i genitori parlano ai figli, anche troppo, ma manca invece la parte dell’ascolto. Ascoltiamo i nostri figli, cerchiamo di capire chi sono e non cosa vorremmo che fossero, conosciamoli attraverso i racconti, accogliamo le loro emozioni. Ascoltandoli possiamo veramente esserci quando hanno un problema. Molto spesso i bambini non parlano con i genitori, non si confidano se hanno un problema, perché è difficile aprirsi con gli altri. Ascoltare vuol dire anche cogliere i segnali, cogliere i cambiamenti, stare attenti alle piccole cose, e tenere aperta la porta del dialogo. Spesso i problemi non vengono dichiarati apertamente, ma siamo noi che dobbiamo cogliere la difficoltà e fare in modo che si sentano accettati anche nel momento di difficoltà.
-          Dare credito: vuol dire partire dall’idea che quello che dice nostro figlio, anche se piccolo, sia vero. Magari crediamo che sia troppo piccolo per capire o per aver interpretato bene una situazione. Noi dobbiamo comunque avere fiducia, capire che quello che ci ha detto, magari è diverso dalla nostra visione, ma ha valore. Quello che ci porta è la sua visione di quello che è accaduto. Quindi dare credito non significa prendere per oro colato, ma partire dall’idea che quello che mi sta dicendo ha senso ed è importante perché è quello che lui sta vivendo ora, magari distorto, magari semplificato, ma è quello che lui crede in questo momento. Dopo aver ascoltato e dato credito potremmo magari lavorare insieme per capire la situazione reale per fare luce su ciò che non è stato considerato, ma è necessario partire dai primi due punti prima di farlo.
-          Fungere da modello: è importante essere un modello positivo. Tutto quello che facciamo e diciamo, e tutto quello che non facciamo e non diciamo i nostri figli lo vedono e lo valorizzano.  Soprattutto quando sono piccoli, fino alla scuola primaria, per loro i genitori sono IL MODELLO, e quindi per loro è molto difficile capire che il genitore può aver sbagliato. E’ una palestra per l’osservazione… fungere da modello serve ad imparare le abilità e le competenze. Se io insegno solo parlando e non faccio, il modello è discordante.
-          Responsabilizzazione: come già detto è importante far fare, far sperimentare. Per passi successivi, incrementando sempre un po’ la difficoltà delle cose, dobbiamo aiutare i nostri figli ad essere sempre un po’ più responsabili ed autonomi. Fin da subito. Il mio obiettivo è rendere mio figlio una persona autonoma ed indipendente, quindi è importante sfruttare ogni occasione quotidiana per mettere mio figlio alla prova su nuove abilità, aiutarlo a mettersi alla prova, standogli vicino. Lasciargli prendere decisioni.
-          Sostenere: l’educazione è una danza che lascia andare, ma sta vicino in caso di bisogno. Il genitore deve essere il porto sicuro verso cui navigare in caso di difficoltà.
Tutti questi aspetti dell’educazione ce li giochiamo nella vita quotidiana, ogni momento della giornata è importante per usare le strategie sopra descritte. Possiamo anche creare dei momenti “di esercizio” su alcune abilità. Possiamo aiutare il bambino scomponendo l’abilità in passi e cercando di comprendere come procedere passo dopo passo.
Ad esempio: come faccio ad aiutare mio figlio ad accettare un rifiuto?
Primo passo: Prima di tutto comprendendo perché sono stato rifiutato. E’ una cosa che succede nella vita, è importante stimolare il bambino a riflettere sul perché e fargli capire che può accadere di essere rifiutati;
Passo due: Trovare un’alternativa. E’ importante trovarla perché altrimenti salta fuori da sola.  Qui ci sono molte possibilità. Cosa faccio? Faccio altro, oppure posso provare a fargli capire che sono dispiaciuto… questa lista di ipotesi deve essere creata dal bambino. Capire cosa poter fare se domani capita un altro rifiuto aiuta a non reagire “di pancia”. Con i più grandi è anche importante riflettere sui vantaggi e gli svantaggi di ogni alternativa individuata. Sembrerà automatico all’inizio, ma è quello che facciamo nella nostra testa inconsapevolmente… se riusciamo a lavorare su questo, facilitiamo l’apprendimento delle abilità sociali.
Passo tre: metto in pratica. Se la scelta non funziona, metterne in atto un’altra. Magari possiamo provare insieme e poi discuterne.
E’ importante per i bambini non dare nulla per scontato, alcune cose per noi chiare per loro non lo sono.
Dalle domande dei genitori sono emersi altri spunti interessanti.
Cos’è l’assertività? E’ l’equilibrio tra l’essere presenti nel mondo mostrando le proprie idee senza essere aggressivi. Quindi non essere passivi, né rinunciare, ma nemmeno essere irosi e ferire gli altri. Le componenti base dell’assertività sono 1. essere consapevoli di sé stessi, avere chiaro l’idea e l’opinione che voglio difendere, capire qual è l’importanza diversa delle cose; 2. La conoscenza dell’altro, devo capire cosa l’altro pensa di me e della mia opinione, anche l’idea dell’altro può essere valida quindi devo essere pronto a presentare la mia e accogliere quella dell’altro; 3. La comunicazione: la stessa cosa detta in modo diverso crea effetti diversi. L’assertività è diversa dall’aggressività non per quello che chiedo, ma per come lo chiedo.
Come reagire di fronte alla lite tra due fratelli (ad esempio che si contendono qualcosa?)? E’ importante stare calmi, non reagire subito. Reagire subito è il carling parenting, non volergli far sperimentare la difficoltà. Il conflitto tra fratelli o amici è un’altra palestra importante per i bambini. Entro certi limiti è utile. Il bambino non può imparare a gestire il conflitto con l’adulto. Solo con i conflitti con gli altri bambini si può imparare a gestire il conflitto.  Quindi calma, perché bloccare sul nascere il conflitto non permette loro di imparare come gestirlo.  Intervenire subito non gli permette di crescere, ed è molto rischioso, perché o sai molto bene cosa è successo, o si rischia di fare ingiustizie. Calma, non vuol dire non fare nulla. E’ importante monitorare il conflitto e stare attenti a vedere come si evolvono: è sempre lo stesso a vincere, uno è sempre sottomesso… ma se sono contenuti, litigano si arrabbiano ma vince una volta uno e una volta l’altro, magari se la prendono e non si parlano per un po’… va bene, è normale. Basta evitare che si passi alle maniere forti.
I bambini a 2-3-4 anni sono aggressivi, spesso vengono alle mani, in questo periodo c’è il picco di aggressività, ma non perché sono cattivi, ma perché mancano le competenze per gestire le cose in altro modo. Non ha il linguaggio, ma nemmeno le competenze emotive, sociali, l’empatia ecc. sufficientemente sviluppate. Quindi è importante non inibire, ma tollerare, anche se è importante che non si instauri l’apprendimento che l’aggredire sia utile per ottenere quello che voglio. A quell’età l’aggressività non è rivolta verso l’altro: non lo si fa per far male all’altro, anzi non si è nemmeno consapevoli che dando una spinta, un calcio si fa male. Lo si fa per ottenere qualcosa che si vuole o per dimostrare che si è arrabbiati. L’empatia è all’inizio dello sviluppo. L’azione aggressiva è strumentale, per ottenere qualcosa, è un metodo più rapido e semplice rispetto al chiedere con gentilezza.