Presentando
un’immagine ambigua, il dottor Gini ha fatto sperimentare direttamente ai
genitori la difficoltà di vedere il
punto di vista dell’altro e l’arricchimento che si prova quando questo avviene.
Riuscire
a vedere, a comprendere il punto di vista dell’altro è una delle principali
competenze che un bambino deve sviluppare e, per fare questo, l’esperienza
relazionale è la miglior insegnate. I bambini vivono relazioni verticali (con
gli adulti) che hanno la funzione di dare loro sicurezza, accudimento, affetto,
lo sviluppo di conoscenze e abilità. Esistono però anche le relazioni tra pari
(orizzontali) che svolgono funzioni diverse e che non possono essere svolte
dagli adulti. In generale queste ultime sono più difficili rispetto alle prime.
Perché? Un pari è un bambino della stessa età, con le stesse competenze,
conoscenze, ecc., l’interazione con gli adulti è facile perché la relazione è
una relazione asimmetrica, l’adulto fa tanto, il bambino fa meno. Anche se
proporzionato all’età del bambino, è l’adulto il protagonista. Nelle relazioni
tra pari questo non funziona più, il mio coetaneo ha la stessa conoscenza mia,
le stesse competenze, più o meno, la stessa capacità di gestire le emozioni e
di seguire le regole, la stessa capacità di gestire i comportamenti… non c’è
più un adulto che fa quello che io non so fare, che contiene i miei
comportamenti e li guida. Le relazioni coi pari diventano quindi una palestra
per lo sviluppo della personalità e delle competenze, perché nessuno si
sostituisce all’altro ma sono, io bambino, che devo essere attivo, fare le cose
(a volte bene, a volte male, ci correggiamo a vicenda). E’ da li che nascono i
conflitti. Nelle relazioni con i coetanei i bambini apprendono cose che non
potranno mai apprendere se fossero legati solo ad un adulto, che l’adulto non
può trasmettere, non può insegnare al bambino. Ad esempio non può insegnare ne
la cooperazione (lavorare insieme agli altri per ottenere qualcosa) né la
competizione (tensione verso un obiettivo uguale). Queste due capacità sono
fondamentali nel mondo adulto.
Come
si sviluppano le relazioni orizzontali? Ecco alcuni momenti principali:
-
l’interesse per i coetanei nasce già nel primo
anno di vita, i bambini sono predisposti ad entrare in relazione con i pari;
-
nel secondo anno di vita i bambini sono molto
interessati all’altro, e iniziano le prime relazioni basate sul gioco (es.
gioco parallelo);
-
2-4 anni esplosione di interesse e di attività
fatte insieme. E’ qui che la funzione di palestra è molto evidente. In questa età i bambini
capiscono che stare con gli altri ha bisogno di ruoli che si alternano. E’
importantissima la funzione dei giochi, che è il loro modo per apprendere, in
particolar modo:
o il
“far finta” che permette di assumere ruoli diversi, nel gioco si provano ruoli
diversi, è un modo per sperimentarsi in ruoli non propri;
o lo
“scappa e prendi”, definisce due ruoli diversi, ma complementari, ruoli che
servono tutti e due per far funzionare le cose (la nostra vita è tutta fatta di
ruoli complementari, la comunicazione e la conversazione si basano su ruoli
complementari);
o la
lotta, si basa su ruoli complementari, o scambio di ruoli. Si apprende che i ruoli
non sono solo complementari, ma si possono scambiare: i ruoli si possono
invertire. Tale gioco è utile anche per l’apprendimento del controllo motorio.
-
L’idea di amicizia si sviluppa: a 4-5 anni
l’amico è il compagno con cui mi trovo bene a fare qualcosa di piacevole.
-
A scuola si sviluppa meglio il legame amicale:
l’amicizia include idee più astratte, sono bambini con cui si condividono
interessi e passioni. Gli amici sono importanti perché ti possono aiutare se ne
hai bisogno.
-
In prima-adolescenza (alle medie) c’è il
concetto di intimità, di condivisione di emozioni, di segreti. L’amicizia è uno
scrigno, qualcosa di intimo e segreto. All’inizio è importante l’unicità, che
implica un po’ di rigidità.
-
In adolescenza si sviluppa un concetto di
amicizia molto intensa e forte, ma che può essere condivisa. Avere molti amici
è un arricchimento e nulla toglie al rapporto che ho con ognuno di loro.
I
giochi non sono un passatempo ma una fucina di idee e di apprendimento, è il
modo dei bambini di scoprire il mondo.
Ci
sono 5 aree di competenza socio-emotiva, aspetti fondamentali nella relazione
con l’altro:
-
essere consapevoli di sé, conoscere sé stessi:
es. riconoscere le proprie emozioni;
-
la capacità di autogestirsi: es. regolare le
proprie emozioni, gestire lo stress, auto-motivarsi;
-
la consapevolezza degli altri e di come
funzionano le relazioni: es. come assumere la posizione degli altri;
-
le abilità di relazioni: le abilità sociali, il
saper fare nella relazione;
-
la capacità di prendere decisioni responsabili.
Come
possiamo sviluppare questi aspetti? Con l’esercizio, sperimentandomi,
sbagliando e riprovando, fino a che la cosa non mi verrà automatico e fluido.
L’aiuto dell’adulto è importantissimo, se noi siamo proattivi nell’aiutare i
figli, se siamo esempio positivo, le competenze saranno più solide e meglio
sviluppate.
Molto
passa attraverso il nostro stile educativo, la nostra modalità usuale di
risposta. Ci sono due dimensioni:
1.
l’area affettiva che riguarda la trasmissione e
la manifestazione dell’affetto e dell’amore. Questo dà sicurezza ai bambini,
che si sentono accettati, anche quando sbagliano.
2.
L’area del controllo, l’aspetto delle regole,
della disciplina, ma anche della responsabilizzazione e dell’autonomia. La
guida verso l’indipendenza.
Se
noi consideriamo queste due dimensioni creiamo diversi stili genitoriali:
-
genitore permissivo: eccede con la parte
affettiva, senza dare regole;
-
genitore autoritario: eccede nella parte di
controllo, essendo molto carente nella parte affettiva;
-
genitore autorevole, con elevato amore e
controllo: una famiglia in cui si parla e si manifestano le emozioni, ma anche
con dei no e delle regole precise; non è sempre facile bilanciare regole e
affetto nella vita quotidiana ma è questa la sfida della genitorialità attuale.
Uno
stile che sta apparendo sempre più frequente, ma che è fortemente da evitare, è
quello definito “carling parenting” e che prende proprio nome dal gioco del
carling. Sono quei genitori che come i giocatori del carling cercano di
“scopare” via ogni difficoltà dalla vita dei figli, lisciando e creando una
condizione ottimale per non trovare intralci. Questo porta i bambini, e poi i
ragazzi, ad essere poco autonomi. Sono quei genitori che cercano di preparare
il percorso della vita e facilitare la vita del figlio, sempre e comunque. In
questo modo però il figlio non avrà mai modo di superare i suoi ostacoli e di
crescere ed imparare. Volere troppo bene al figlio, non significa evitargli
ogni dispiacere ed ogni difficoltà, ma stargli vicino e sostenerlo perché possa
autonomamente superarle, ed eventualmente avere qualcuno con cui sfogarsi nel
caso non ce l’abbia fatta.
L’autonomia,
la capacità di gestirsi il tempo, di risolvere i problemi, di prendere
decisioni non emergono se il genitore si sostituisce al figlio, ma si
sviluppano se il genitore dà gli strumenti, le competenze le abilità per
affrontare la vita e poi gli permette di farlo.
Ma
come possiamo fornire queste abilità? Cosa possiamo fare? Quali strategie
educative possiamo affrontare?
-
Ascolto
attivo: spesso si pensa che non si parla abbastanza nelle famiglie. Forse attualmente
i genitori parlano ai figli, anche troppo, ma manca invece la parte
dell’ascolto. Ascoltiamo i nostri figli, cerchiamo di capire chi sono e non
cosa vorremmo che fossero, conosciamoli attraverso i racconti, accogliamo le
loro emozioni. Ascoltandoli possiamo veramente esserci quando hanno un
problema. Molto spesso i bambini non parlano con i genitori, non si confidano
se hanno un problema, perché è difficile aprirsi con gli altri. Ascoltare vuol
dire anche cogliere i segnali, cogliere i cambiamenti, stare attenti alle
piccole cose, e tenere aperta la porta del dialogo. Spesso i problemi non
vengono dichiarati apertamente, ma siamo noi che dobbiamo cogliere la
difficoltà e fare in modo che si sentano accettati anche nel momento di
difficoltà.
-
Dare credito:
vuol dire partire dall’idea che quello che dice nostro figlio, anche se
piccolo, sia vero. Magari crediamo che sia troppo piccolo per capire o per aver
interpretato bene una situazione. Noi dobbiamo comunque avere fiducia, capire
che quello che ci ha detto, magari è diverso dalla nostra visione, ma ha
valore. Quello che ci porta è la sua visione di quello che è accaduto. Quindi
dare credito non significa prendere per oro colato, ma partire dall’idea che
quello che mi sta dicendo ha senso ed è importante perché è quello che lui sta
vivendo ora, magari distorto, magari semplificato, ma è quello che lui crede in
questo momento. Dopo aver ascoltato e dato credito potremmo magari lavorare
insieme per capire la situazione reale per fare luce su ciò che non è stato
considerato, ma è necessario partire dai primi due punti prima di farlo.
-
Fungere
da modello: è importante essere un modello positivo. Tutto quello che
facciamo e diciamo, e tutto quello che non facciamo e non diciamo i nostri
figli lo vedono e lo valorizzano.
Soprattutto quando sono piccoli, fino alla scuola primaria, per loro i
genitori sono IL MODELLO, e quindi per loro è molto difficile capire che il
genitore può aver sbagliato. E’ una palestra per l’osservazione… fungere da
modello serve ad imparare le abilità e le competenze. Se io insegno solo
parlando e non faccio, il modello è discordante.
-
Responsabilizzazione:
come già detto è importante far fare, far sperimentare. Per passi successivi,
incrementando sempre un po’ la difficoltà delle cose, dobbiamo aiutare i nostri
figli ad essere sempre un po’ più responsabili ed autonomi. Fin da subito. Il
mio obiettivo è rendere mio figlio una persona autonoma ed indipendente, quindi
è importante sfruttare ogni occasione quotidiana per mettere mio figlio alla
prova su nuove abilità, aiutarlo a mettersi alla prova, standogli vicino.
Lasciargli prendere decisioni.
-
Sostenere:
l’educazione è una danza che lascia andare, ma sta vicino in caso di bisogno.
Il genitore deve essere il porto sicuro verso cui navigare in caso di
difficoltà.
Tutti
questi aspetti dell’educazione ce li giochiamo nella vita quotidiana, ogni
momento della giornata è importante per usare le strategie sopra descritte.
Possiamo anche creare dei momenti “di esercizio” su alcune abilità. Possiamo
aiutare il bambino scomponendo l’abilità in passi e cercando di comprendere
come procedere passo dopo passo.
Ad
esempio: come faccio ad aiutare mio figlio ad accettare un rifiuto?
Primo
passo: Prima di tutto comprendendo perché sono stato rifiutato. E’ una cosa che
succede nella vita, è importante stimolare il bambino a riflettere sul perché e
fargli capire che può accadere di essere rifiutati;
Passo
due: Trovare un’alternativa. E’ importante trovarla perché altrimenti salta
fuori da sola. Qui ci sono molte
possibilità. Cosa faccio? Faccio altro, oppure posso provare a fargli capire
che sono dispiaciuto… questa lista di ipotesi deve essere creata dal bambino.
Capire cosa poter fare se domani capita un altro rifiuto aiuta a non reagire
“di pancia”. Con i più grandi è anche importante riflettere sui vantaggi e gli
svantaggi di ogni alternativa individuata. Sembrerà automatico all’inizio, ma è
quello che facciamo nella nostra testa inconsapevolmente… se riusciamo a
lavorare su questo, facilitiamo l’apprendimento delle abilità sociali.
Passo
tre: metto in pratica. Se la scelta non funziona, metterne in atto un’altra.
Magari possiamo provare insieme e poi discuterne.
E’
importante per i bambini non dare nulla per scontato, alcune cose per noi
chiare per loro non lo sono.
Dalle
domande dei genitori sono emersi altri spunti interessanti.
Cos’è
l’assertività? E’ l’equilibrio tra l’essere presenti nel mondo mostrando le
proprie idee senza essere aggressivi. Quindi non essere passivi, né rinunciare,
ma nemmeno essere irosi e ferire gli altri. Le componenti base dell’assertività
sono 1. essere consapevoli di sé stessi, avere chiaro l’idea e l’opinione che
voglio difendere, capire qual è l’importanza diversa delle cose; 2. La
conoscenza dell’altro, devo capire cosa l’altro pensa di me e della mia
opinione, anche l’idea dell’altro può essere valida quindi devo essere pronto a
presentare la mia e accogliere quella dell’altro; 3. La comunicazione: la
stessa cosa detta in modo diverso crea effetti diversi. L’assertività è diversa
dall’aggressività non per quello che chiedo, ma per come lo chiedo.
Come
reagire di fronte alla lite tra due fratelli (ad esempio che si contendono
qualcosa?)? E’ importante stare calmi, non reagire subito. Reagire subito è il
carling parenting, non volergli far sperimentare la difficoltà. Il conflitto
tra fratelli o amici è un’altra palestra importante per i bambini. Entro certi
limiti è utile. Il bambino non può imparare a gestire il conflitto con
l’adulto. Solo con i conflitti con gli altri bambini si può imparare a gestire
il conflitto. Quindi calma, perché
bloccare sul nascere il conflitto non permette loro di imparare come
gestirlo. Intervenire subito non gli permette
di crescere, ed è molto rischioso, perché o sai molto bene cosa è successo, o
si rischia di fare ingiustizie. Calma, non vuol dire non fare nulla. E’
importante monitorare il conflitto e stare attenti a vedere come si evolvono: è
sempre lo stesso a vincere, uno è sempre sottomesso… ma se sono contenuti,
litigano si arrabbiano ma vince una volta uno e una volta l’altro, magari se la
prendono e non si parlano per un po’… va bene, è normale. Basta evitare che si
passi alle maniere forti.
I
bambini a 2-3-4 anni sono aggressivi, spesso vengono alle mani, in questo
periodo c’è il picco di aggressività, ma non perché sono cattivi, ma perché
mancano le competenze per gestire le cose in altro modo. Non ha il linguaggio,
ma nemmeno le competenze emotive, sociali, l’empatia ecc. sufficientemente
sviluppate. Quindi è importante non inibire, ma tollerare, anche se è
importante che non si instauri l’apprendimento che l’aggredire sia utile per
ottenere quello che voglio. A quell’età l’aggressività non è rivolta verso
l’altro: non lo si fa per far male all’altro, anzi non si è nemmeno consapevoli
che dando una spinta, un calcio si fa male. Lo si fa per ottenere qualcosa che
si vuole o per dimostrare che si è arrabbiati. L’empatia è all’inizio dello
sviluppo. L’azione aggressiva è strumentale, per ottenere qualcosa, è un metodo
più rapido e semplice rispetto al chiedere con gentilezza.