domenica 22 novembre 2015

Serata su relazioni ed internet - riassunto

Internet e gli strumenti tecnologici fanno sempre più parte della nostra vista, hanno modificato il nostro modo di vivere, soprattutto i giovani ne sono attratti e li utilizzano con grande facilità.  Questo porta due impegni per noi adulti:
-          conoscere questi mezzi di comunicazione, essere preparati;
-          parlarne con i ragazzi, fin da quando sono piccoli, e stabilire con loro delle regole da subito.
Capita infatti che si dia il cellulare a ragazzini piccoli, senza regole, senza essere noi stessi buoni modelli di utilizzo, e quando emergono i problemi in adolescenza (eccessivo utilizzo, inconsapevolezza dei pericoli, cyberbullismo). Si danno spesso in mano ai giovani degli strumenti che sono potentissimi, e spesso ci si trova nei guai successivamente perché l’uso è incontenibile., un vero e proprio abuso di tecnologie.
Si può arrivare, in casi estremi, a situazioni di dipendenza da Internet, dove la dipendenza non è data dalla sostanza, ma dal comportamento, che risulta impossibile da smettere e che occupa sempre maggior tempo.  Internet ha anche trasformato alcune tipiche dipendenze (es. dipendenza da Casinò sostituita da Casinò on line), eludendo alcuni ostacoli, facilitando la vita di chi ne è affetto (che non deve più spostarsi, inventare scuse, ecc.), permettendo di vivere la patologia dentro le mura di casa. Tutto diventa quindi molto più pericoloso. I problemi rimangono, anzi si aggravano, ma cambiano forma con le evoluzioni del tempo.
Le persone che soffrono di dipendenze hanno difficoltà nella gestione delle emozioni e difficoltà relazionali. Tra i giovani spesso emerge una frattura nel normale flusso delle relazioni. Ad esempio si dà molta intimità a persone sconosciute (sesso, ecc.) e poi ci si stupisce di un saluto. C’è una sessualità molto spinta ma c’è un’altissima confusione su quello che dovrebbe essere la crescita affettiva, il normale sviluppo di una relazione (il procedere per prove e tentativi, affrontando imbarazzo, paure, gioie). Molto spesso il contatto fisico diventa l’unica comunicazione che poi si blocca li. Nella mente di tanti ragazzi c’è proprio l’idea che si faccia così, che tutto sia perdonabile perché magari si ha bevuto (che è una scusante più che una causa), e che per l’atto sessuale non serva un legame, né serva crearlo successivamente. Questo spiega in parte la malsana abitudine tra i giovani di inviarsi foto intime o rubate con whats-app, non solo ai singoli, ma all’intero gruppo.
C’è inconsapevolezza che quello che mando in internet può essere divulgato tra tanti, e anche se cancellato, non potrà mai essere cancellato del tutto.  Si deve far capire ai giovani che quando invio qualcosa, devo essere consapevole che non ne ho più il controllo.
Noi adulti per primi dobbiamo capire che questi strumenti sono potentissimi e quindi si deve imparare ad utilizzarli. I giovani entrano in un mondo che non ha spazi, non ha confini delimitati.
I ragazzi sono di fronte ad una cybergiungla, ricca di risorse bellissime, ma con anche dei grandi pericoli e dei contenuti che nessuno, men che meno un giovane, è pronto a vedere.  Quindi a loro serve una bussola, e questa bussola non possiamo che essere noi adulti.  Possiamo stargli vicino, possiamo, ad esempio, vedere assieme dei video che parlano dei pericoli in internet e parlarne con loro. 
Ai nostri tempi c’era solo il telefono. Se volevo uscire con un amico:
1.      pianificavo “mi piacerebbe incontrare il mio amico domani e quando lo vedo glielo chiedo”;
2.      se non lo vedevo lo chiamavo al telefono, che solitamente era a  casa, in un luogo di passaggio, chiedevo il permesso di chiamarlo, visto che chiamavo un’altra casa (noi avevamo una visualizzazione di dove rispondeva l’altro, ora c’è un’assenza di immagine);
3.      i miei genitori mi davano delle regole (es. non si chiama a pranzo) che mi hanno insegnato ad aspettare;
4.      chiamavo in casa e sapevo che era come entrarvi, quindi salutavo, chiedevo permesso ecc.;
5.      se il mio amico studiava il genitore faceva da filtro e mi chiedeva di chiamare dopo.
Ora si perdono un sacco di passaggi. Non c’è la pianificazione. Manca tutta la parte legata al desiderio, che nasce quando si aspetta, si pensa, si immagina. Tutto va così in fretta che non abbiamo più tempo di desiderare.

Informazioni in pillole: per saperne di più!
Internet non ha spazi, non ha tempi. Un tempo c’era solo la TV, con un palinsesto determinato, con delle immagini controllate. Se pensiamo che alla TV un ragazzo sia poco protetto, in internet questo lo è ancora di più: posso fare tutto, non c’è una visione del tempo reale. Per questo con internet e videogiochi i ragazzi rimangono abboccati, come dei pesci…  la posizione davanti al PC o allo smartphone è tesa. Quando dicono, “mi rilasso un po’”, non è vero. Si distraggono ma non si rilassano. Si aumenta il carico di tensione.

Come funziona internet: se io uso un motore di ricerca, e cerco una parola chiave, i primi siti che escono, solitamente colorati, hanno un motivo economico, hanno pagato per stare li. L’ordine degli altri siti rispecchia la frequenza di clic, o perché ho già cliccato su questo sito in precedenti ricerche. Su diversi computer, pur utilizzando sempre la stessa parola chiave, escono delle liste diverse.  Anche le pubblicità (i banner) presenti nei siti dipendono dai siti che ho precedentemente cliccato o dalle ricerche precedentemente fatte: questo per aumentare in me il desiderio di acquistare un prodotto, o di ritornare in un certo sito. Internet che sembra un luogo magico, libero, non lo è!

I nuovi media impongono una delega delle informazioni, i piccoli non imparano più a memoria, sanno di trovare tutto in internet e sono demotivati nel memorizzare/ricordare/studiare. Dobbiamo quindi cercare di 1. Impostare bene le ricerche verificando le notizia (incrociando più siti, confrontandoli, ecc.) ; 2. Ragionando e analizzando il problema criticamente.

Le notizie in internet sono velocissime, ma mai verificate e controllate. Si creano una serie di pasticci e incomprensioni. Le smentite servono a poco. Le notizie possono essere distorte, perché è tutto troppo veloce per verificarle. I siti si strutturano in modo che sembra tutto vero.  Dobbiamo aiutare i piccoli a sviluppare una capacità critica.

Sindrome Folo (fear of life off line) – paura di essere fuori, paura di non essere connesso, paura di rimanere fuori dalle comunicazioni, ossessione a mostrare al mondo quanto siamo felici, di mettere tutto su internet perché altrimenti non vali niente. Si perde così l’importanza della persona “vera” quella che sta vivendo, tutte le energie sono date alla personalità on line. C’è un continuo confronto con gli altri, che appaiono sempre felici e perfetti, e questo svaluta sempre di più il proprio essere reale.

Spesso l’attenzione all’altro manca. E questo sta alla base del bullismo, che si aggrava maggiormente quando è Cyberbullismo: l’offesa on line viene moltiplicata, nasce l’ossessione di sentire ogni comunicazione on-line, il timore di aprire i messaggi… la vita delle vittime ne viene condizionata, non solo nel contesto in cui è nato il bullismo, ma in tutti i suoi contesti di vita.

Consigli  in pillole!
Se date uno strumento prima dovete conoscerlo bene: telefono, una console di videogiochi, un tablet, ecc. Cercate di capirne possibili funzioni utili e pericoli intrinseci. Senza scoraggiarsi per il fatto che i giovani sono più bravi di noi.  I ragazzi sono “nativi digitali”, non hanno differenze genetiche, ma sono iperstimolati. Noi magari ci mettiamo un po’ di più ma sappiamo quali pericoli evitare.

Gli adolescenti sono multitasking: leggono un libro, col computer acceso, il telefono in mano e le cuffie nelle orecchie. E’ vero che loro sono facilitati nel passaggio da uno strumento all’altro, ma è anche vero che riescono a fare tutto insieme? Forse l’errore è di noi adulti che non abbiamo dato loro un limite, che non abbiamo spiegato, e mostrato, che le cose fatte una alla volta vengono meglio. Aiutare i ragazzi a fare una cosa alla volta e a concentrarsi su una cosa alla volta è importante. Se questo non avviene perdono la capacità di concentrarsi. I ragazzi di oggi tendono ad essere più irrequieti, hanno difficoltà a stare fermi, sono meno concentrati. Essere continuamente stimolati aumenta l’adrenalina nel corpo e aumenta questa irrequietezza.

Facebook: si può avere a partire dai 13 anni. E’ importante seguire i figli nella creazione del proprio profilo. Servono delle regole, sul tipo di foto e informazioni da dare, sul fatto di dare l’amicizia solo a chi si conosce. Tutti i ragazzi tendono ad avere moltissimi amici.  Molti di più di quelle che effettivamente conoscono.  Questo porta ad accettare amicizie anche da sconosciuti, mettendoli in situazioni pericolose.

Pubblicare foto dei figli in internet può essere problematico perché fa passare il messaggio: “io posso pubblicare foto di altri senza chiedere. Mamma e papà non lo hanno chiesto a me” . Tutte le cose che noi facciamo assumono un significato. Noi adulti dobbiamo seguire le regole, oltre che darle.

Importante che i genitori si informino, leggano le conversazioni dei figli, assieme a loro naturalmente (Mai di nascosto), ne parlino… i genitori hanno il diritto e anche il dovere di guardare i messaggi dei figli, visto che se gli si dà uno strumento, gli si deve dare il modo di imparare, e come in tutti i campi questo implica controllo. Questo non vuol dire non avere fiducia in loro, ma aiutarli ad entrare in un mondo nuovo. Questo uso condiviso può anche creare maggior attenzione allo strumento stesso da parte dei giovani.

Età giusta per dare il telefono? Non c’è una regola. E’ importante concordare tra genitori concordare una tempistica ed delle regole comuni. E’ importante capire perché volete dare il cellulare, e comprendere se è legato alla vostra ansia.  Es. se lo do per andare in gita, lo devo motivare. Non deve passare il messaggio di svalutazione per le maestre, o l’idea che le gite sono pericolose… se dobbiamo solo ridurre la nostra ansia scegliamo uno strumento adeguato: es. alle medie non possiamo pensare di dare un apparecchio che abbia una funzione continua, quindi scegliere un cellulare senza internet.

I ragazzi chiedono lo smartphone molto presto, attenzione: bisogna patteggiare. La scusa  “lo hanno tutti” non è proprio vera. Sappiate dire no, sentite gli altri genitori.

Telefoni spenti la notte, tutti in una stanza. Non lasciate certi strumenti incondizionatamente nelle mani dei giovani.


Videogiochi: attenti all’età consigliata, non farli utilizzare per tempi lunghi perché si aumenta l’adrenalina (aggressività e, a lungo andare, rischio di Ictus), non farli utilizzare tutti i giorni. 

sabato 14 novembre 2015

Scadenza iscrizioni laboratori di approfondimento

Mercoledì 18 novembre scade la possibilità di iscriversi ai laboratori di approfondimento sul tema delle relazioni.


I laboratori per genitori si terranno a Cunevo di Sabato pomeriggio (Sabato 21 e 28 Novembre e Sabato 5 dicembre). >Per due ore i genitori potranno approfondire il tema delle relazioni nei bambini e di comprendere e confrontarsi su quali strategie possono essere usate per aiutare i bambini a stare meglio con gli altri.

Affiancati ai laboratori per adulti dei laboratori per bambini, dove attraverso il gioco, la lettura e le attività motorie i bambini potranno affrontare il tema delle relazioni.

Per qualsiasi chiarimento o iscrizioni (sono ancora disponibili pochi posti) alberodellerelazioni@gmail.com

venerdì 6 novembre 2015

serata sulle relazioni tra pari e laboratori


Il 13 novembre a Flavon, nella sala civica del Municipio, Gianluca Gini presenterà la serata dal titolo: RELAZIONE TRA PARI: AIUTARE I BAMBINI A STARE BENE CON GLI ALTRI. Lo psicologo cercherà di fornire delle chiavi di lettura basilari per comprendere la vita relazionale dei bambini e dei ragazzi, rispondendo alle seguenti domande: Come funzionano le relazioni con le altre persone? Quando il bambino diventa competente nel gestire tali relazioni? I bambini sono tutti uguali nel modo in cui si relazionano con gli altri? Quali sono i comportamenti che segnalano un positivo o negativo adattamento sociale? L’incontro affronta queste ed altre domande cruciali non solo per i genitori, ma per tutti coloro che si confrontano con i processi di crescita dei bambini.

A seguito di questa serata introduttiva sono previsti un ciclo di tre laboratori di approfondimento tenuti da Lorenza Dallago che permetteranno ad un piccolo gruppo di genitori di confrontarsi sul tema delle relazioni, di portare la loro esperienza a sostegno del gruppo e di analizzare in dettaglio le strategie per sostenere i figli nello sviluppo delle abilità sociali, necessarie per gestire al meglio la propria vita relazionale. I laboratori si terranno il sabato pomeriggio (21, 28 novembre e 5 dicembre ore 16.00-18.00) a Cunevo e saranno affiancati da laboratori per i figli dei partecipanti gestiti dalla cooperativa La Coccinella.  

Le iscrizioni per i laboratori si chiuderanno mercoledì 18 novembre.

Informazioni e iscrizioni
-          alberodellerelazioni@gmail.com
-          338-9229898

domenica 1 novembre 2015

sunto serata sui disturbi alimentari

La serata ha cercato di percorrere un viaggio, dal momento in cui l’adolescente si trova in un mare in burrasca, che non sa gestire, ad un primo approdo su un isola apparentemente felice, quella del disturbo alimentare, e poi come da questa isola si può ripartire… di seguito i passi principali del dialogo a due voci tra Lisa Tomaselli (psicologa) e Daniela Bonaldi (che porta la sua esperienza come malata di anoressia e bulimia).

INTRODUZIONE

Cosa sono i disturbi del comportamento alimentare? Sono disturbi che riguardano una fase della propria vita in cui diventa preponderante la paura di ingrassare e in cui vengono messi in atto una serie di comportamenti per controllare l’alimentazione e il peso del proprio corpo, con un’idea di magrezza che è sempre qualcosa “di più” rispetto al punto che si è raggiunto. I due disturbi principali sono:
  • -          l’anoressia, che è più conosciuta e di cui si parla di più, perché dà questo messaggio forte di dimagrimento, di deperimento;
  • -          la bulimia, che può sopraggiungere in seguito all’anoressia, o in fasi diverse della malattia, che vede delle crisi di abbuffata, dove c’è la sensazione di perdere il controllo e di doversi riempire, mangiando velocemente, mischiando dolce e salato senza pensare a ciò che realmente piace, affiancate dall’uso di strategie per placare il senso di colpa rispetto a quello che si è fatto, che possono essere esercizio fisico molto intenso, utilizzare lassativi o procurarsi il vomito. La bulimia è fatta per non essere vista, è nascosta. La persona non cala di peso e quindi è più difficile accorgersi che c’è qualcosa che non va. 

QUALCHE DATO

Il 70% delle ragazze dai 14 ai 19 anni è interessato a dieta e dimagrimento: è quindi abbastanza normale essere preoccupati per il proprio peso in adolescenza, anche perché questa fase della vita vede variazioni di peso che non sono dovute solo all’assunzione di cibo ma agli ormoni e allo sviluppo. Il tasso di rischio per i disturbi alimentari è di un ragazzo/a su 10, e questo non vuol dire di situazione conclamata ma di rischio elevato (14% per le ragazze, 4% per i ragazzi), con tentativi di dieta che possono essere pericolosi. L’età più delicata e di facile esordio dei disturbi è proprio l’adolescenza.
I SEGNALI D’ALLARME
Come genitori, cosa possiamo notare, a cosa dobbiamo stare attenti?
Sicuramente deve far sospettare un’attenzione eccessiva verso quello che si mangia, verso la spesa, verso le calorie e poi anche un senso di segreto (bugie sull’aver mangiato o meno). Una cosa che spesso ritarda i sospetti è che spesso chi sta entrando in questo problema difende i suoi comportamenti alimentari anomali, il non mangiare, con delle scuse fisiche (ho mal di denti, mal di pancia, lo stomaco gonfio…). Si rifiutano di mangiare dicendo che non stanno bene e questo distoglie l’attenzione dei genitori dal vero problema.
Oltre a questo un segnale è che il tema dell’alimentazione sia tanto presente, la persona malata tende a parlarne molto, a controllare tutto (i cibi, la spesa…): l’alimentazione inizia a diventare una parte centrale della vita della persona.
Altro segnale è la tensione che si respira al momento del pasto: invece di diventare un momento colloquiale e di incontro, si manifesta rabbia oppure la presenza di comportamenti strani, es. tagliare molte volte il cibo, dividerlo per colori…

L’ESORDIO DEI DISTURBI ALIMENTARI

I disturbi alimentari sono complessi, ma non si possono ridurre al voler dimagrire o al voler assomigliare a un modello ideale: questo può indurre a intraprendere una dieta. Chi soffre di disturbi alimentari ha dei sentimenti dolorosi che non sa come gestire. I fattori predisponenti sono la fragilità della persona, la maggior sensibilità (che possono renderla più vulnerabile rispetto alla realtà) e qualche evento scatenante (un evento, un accadimento di fronte al quale una persona pensa di non avere le armi, le forze per affrontare il problema). Il disturbo alimentare diventa una specie di salvagente, una specie di spiaggia, dove chi è naufragato arriva con la sensazione di essersi salvato. Il disturbo è un posto sicuro, perché soprattutto con l’anoressia, si provano una serie di sentimenti di gioia, di benessere che fanno stare meglio. Quando si smette di magiare a livello patologico ci si sente in piena forza, con molta energia, in grado di poter aver tutto sotto controllo. Si è consapevoli di riuscire a fare quello che le altre persone non fanno (riuscire a vivere senza cibo) e questo fa sentire più forti. C’è un allontanamento sempre più radicale dal resto del mondo. Il vedere il proprio corpo dimagrire dà forza e, all’inizio, il piacere più agli altri è un rinforzo potente. L’idea di mangiare significa rinunciare a questa forza e a questo controllo, che riguarda sia le emozioni sia il mondo che ci circonda. Per questo è così difficile dire “ok, ricomincio a mangiare”, e più il tempo passa più le cose diventano difficili.
Con la bulimia è diverso, si provano sentimenti molto dolorosi, le crisi sono incontrollabili e durante e dopo queste crisi ci sono forti sentimenti di vergogna, di sensi di colpa, di impotenza, anche di fronte alla forza di questi attacchi.
Un fattore comune sia per anoressia che per bulimia è il dolore che sta dietro a queste malattie.
I fattori scatenanti possono essere i più vari, e le storie delle persone malate lo dimostrano. Possono riguardare un problema fisico, ad esempio un ostacolo fisico che fa interrompere uno sport su cui si è investito molto, piuttosto che un trasferimento, la perdita di un proprio caro ecc. tutti eventi che vengono vissuti dalla persona come una “non scelta”.

DISTURBO ALIMENTARE E ADOLESCENZA

Il fatto che l’esordio accada con maggior frequenza in adolescenza è abbastanza facile da comprendere. L’adolescenza è caratterizzata da tre aspetti, che facilmente si intersecano con i disturbi alimentari:
  • 1.      il grande cambiamento sia fisico, sia a livello di pensiero (nasce il pensiero per ipotesi, nascono le grandi domande, di tematiche esistenziali) sia a livello emotivo, strettamente legato alla sessualità ed alla scoperta di un corpo maschile o femminile, diverso da prima; questo fa sentire in balia degli eventi, fa credere di non avere controllo. In questo momento l’anoressia dà maggior controllo, o l’apparenza di un maggior controllo, sui cambiamenti a cui è esposto il proprio corpo;
  • 2.      il processo di separazione e autonomia dai genitori, c’è un rifiuto di quello che viene proposto dalla famiglia mentre l’interesse viene rivolto al mondo dei pari; il cibo ha un forte impatto sociale, diventa centrale per la famiglia e molto spesso viene usato come segnale di forza nel contrasto con i propri genitori;
  • 3.      il giudizio e l’accettabilità: nel momento in cui sento di volermi esporre nel mondo sociale più ampio la preoccupazione riguarda la propria “giustezza” per gli altri; dagli anni ‘80 in poi l’aspetto corpo diventa centrale, quindi avere un certo tipo di corpo sembra un biglietto d’entrata per il successo.

LA MALATTIA E LE RELAZIONI CON GLI ALTRI

Quando una persona si ammala non sa a cosa sta andando incontro: l’iniziale benessere provato dal controllo sul cibo si scontra con la fatica di metter in atto alcuni comportamenti. Le cose cambiano pian piano: si devono creare bugie continue, in casa ed anche fuori per evitare un pasto, una pizza ma anche un caffè… è una continua fatica e tensione. Inoltre le persone accanto iniziano a preoccuparsi e a sottolineare l’importanza del cibo: le discussioni con i familiari creano scontri perché il desiderio di non mangiare/avere controllo è più forte. L’isolamento non è solo con la famiglia ma a poco a poco anche gli amici che, delusi dalle mille scuse, non chiamano più per uscire. L’anoressia porta ad un allontanamento dalle persone e dagli affetti, da una parte si vive e ci si chiude sempre di più in un mondo che rischia di diventare solo il tuo e dall’altra si vivono gli altri come nemici, perché vogliono portarci via dalla isola che ci fa stare bene.
Con la bulimia si hanno delle percezioni diverse anche dei rapporti: spesso chi sta vicino non si accorge della malattia né dalla sofferenza che sta provando la persona. Il dolore però è forte, perché giorno per giorno si ha la conferma di non avere forza, di non essere in grado, ecc., e proprio questi vissuti di inadeguatezza portano ad allontanarsi dagli altri.
Queste relazioni “rotte” non sono irreversibili, le parti possono ritrovarsi quando chi è malato diventa consapevole del problema, e dalla parte dei familiari molta pazienza e la consapevolezza che non si è di fronte a un capriccio ma a un disturbo vero. Per fare questo è essenziale il lavoro dei professionisti che possono accompagnare questo riavvicinamento. Il percorso di cura può essere parallelo, sia per la famiglia, sia per il malato.
La barriera tra chi sta male e chi vorrebbe far star meglio è paradossale ma è importantissima. Il punto di vista di malato e familiari è totalmente diverso: per il malato il disturbo alimentare è la soluzione ai propri problemi, per la famiglia un comportamento distruttivo ed insensato. Questo porta a dover fare i conti con una profonda solitudine. I genitori/familiari hanno due urgenze: vedere che la persona stia meglio e capire cosa ho sbagliato e cosa posso fare per aiutarla.
Il ruolo della famiglia è importante. Lo stile familiare disimpegnato e invischiato possono avere a che fare con i disturbi alimentari. Estremizzando, le famiglie disimpegnate sembrano essere composte da soggetti che si conoscono poco, che vanno per la loro strada, senza condividere un progetto famigliare con gli altri membri. Questo può essere un tipo di clima che non risponde al bisogno fondamentale dei ragazzi di essere importante per qualcuno. I giovani non si sentono visti, non si sentono di valore, di non sentirsi sicuri. Non si capisce chi sono io per l’altro. Le famiglie invischiate minano invece un altro bisogno fondamentale, quello di esplorazione, di conoscenza del mondo e dagli altri. Sono quelle famiglie in cui c’è molto pasticcio degli spazi di uno e dell’altro, in cui il progetto dei genitori diventa il progetto dei figli, in cui la felicità di uno dipende dalla felicità dell’altro, dove il resto del mondo è visto come negativo, al contrario della propria famiglia, creando timori e paure inutili.

LA MOTIVAZIONE A GUARIRE

Al contrario di altre malattie, chi ha un disturbo alimentare ha molta paura di guarire, perché ha paura di lasciare quel mondo che lo ha aiutato in momenti di grossa difficoltà. La paura di quello che non si conosce, dell’ignoto, immobilizza, e si rimane in uno stato –la malattia- che è visto come l’unico in grado di permettere di sopravvivere. C’è la paura che guarire modifichi completamente la propria persona, faccia diventare una persona in cui non ci si riconosce più: non si capisce che la guarigione porta con sé una maturazione, una maggior consapevolezza, in grado di far gestire il proprio dolore come fonte di crescita. Per questo è essenziale l’aiuto degli altri, aiuto medico/professionale ed aiuto emotivo/spontaneo, ricco di ascolto senza giudizio, stando vicino.
La consapevolezza che qualcosa non stia andando per il verso giusto nasce abbastanza spontaneamente nel malato, il fattore che fa virare verso un cambiamento positivo è l’abbandono dell’idea che devi farcela da solo, che devi dimostrare che sei più forte, che se chiedi una mano o dici che non ce la fai da solo vuol dire che sei più debole. Altro aspetto che facilita il non aver paura di chiedere aiuto è il non doversi vergognare, il sapere che dall’altra parte c’è chi ti vuole bene a prescindere: si creano spesso dei taboo, di temi in cui non si può parlare. E’ importante attivare l’ascolto, accettare la tristezza.

DALLA CONSAPEVOLEZZA ALLA CURA

La consapevolezza emerge quando i benefici della malattia vengono superati dagli aspetti negativi, non tanto sul corpo (cosa che è chiara agli altri), ma sulle relazioni, sulle rinunce che si devono fare (a lungo andare è impossibile fare sport, studiare…). Questo è più “facile” per la bulimia che è maggiormente caratterizzata da sofferenza, sconforto, tristezza, da colpevolizzazione, anche derivante dall’esterno. Intraprendere un percorso di cura non è un percorso lineare, ma è un percorso ricco di alti e bassi, con passi avanti e passi indietro. E’ un percorso difficile e profondo.
L’aiuto può derivare dallo psicologo (nella fase relazionale e emotiva) e del dietologo e dal nutrizionista (per il corpo ed il fisico), e deve esserci l’accompagnamento della famiglia che deve sostenere il processo di cambiamento. C’è la possibilità di fare trattamenti residenziali, che servono in alcuni casi. E’ importante l’aiuto esterno perché spesso l’urgenza dei famigliari di far star bene l’altro contrasta con il bisogno di chiarezza, di comprendere le cause, con il bisogno di essere accettato senza giudizio del malato. Il professionista esterno può aiutare proprio in questo, nel non giudicare, nel sostenere il cambiamento e la comprensione.

L’AIUTO ALLA FAMIGLIA

Quando si ammala qualcuno, tutta la famiglia si ammala in un certo senso perché tutti sono coinvolti. Vedere che un tuo caro sta male ti devasta dal punto di vista psicologico, perché si ha la paura che succeda qualcosa, soprattutto quando la malattia va avanti e il rischio per la vita è alto. Dall’altra è forte il senso di impotenza perché non si sa cosa fare, la persona malata si allontana, e più ci sono tentativi di avvicinamento più sembra rompersi di più la relazione. Servirebbe un percorso parallelo affianco a quello del malato, che deve essere un percorso di consapevolezza, di aiuto, per ricominciare insieme una nuova relazione, un nuovo percorso comune. Il percorso per i genitori dipende molto dal contesto: l’approccio solo sul singolo è sempre meno utilizzato, perché inefficace. Il tipo di lavoro con i genitori può essere di diverso tipo. La famiglia soffre e deve essere aiutata, nel contempo è una risorsa importante per il cambiamento del singolo, che può fare la differenza sulla guarigione.

I POSSIBILI VICOLI CIECHI DA EVITARE

Quali sono i vicoli ciechi in cui ci si può infilare, come genitori o cari di una persona malata? I modi di pensare poco funzionali?

  • -          “La volontà basta, la malattia è causa di mancanza di volontà”: già ci si sente persi e in colpa e questo non fa che aumentare i problemi. Bisogna invece capire che serve chiedere aiuto, non si è da soli e si deve permettere agli altri di aiutarci.
  • -          “Dove ho sbagliato e dov’è la mia colpa?”: il trovare la colpa, se questa c’è, non porta da nessuna parte. E’ invece necessario arrendersi alla complessità di questa malattia che ha mille cause e nessuna, e cercare di capire che gli sbagli sono umani, ma non esiste una realtà di causa-effetto;
  • -          “Posso salvarti io” oppure “arrangiati, vivi la tua vita”: E’ normale vivere uno o l’altro sentimento, magari anche entrambi in momenti diversi, ma nonostante gli estremi e i momenti difficili, è importante rimanere presenti e stare accanto alla persona malata.