giovedì 24 settembre 2015

Laboratorio emozioni - parte 3

La rabbia nei bambini e negli adolescenti


Una delle emozioni che più preoccupa i genitori, anche quelli frequentanti il laboratorio, è la rabbia. Come gestire la nostra rabbia nei confronti dei figli? Come insegnare a gestire la rabbia in modo adeguato? Queste le domande più frequenti che venivano poste.
Ecco alcune considerazioni.
Tutti i bambini, come tutte le persone, si arrabbiano. Quando ci sentiamo minacciati, rispondiamo immobilizzandoci (freeze), fuggendo (flight) o aggredendo (fight). La rabbia è l’espressione corporea dell’aggredire. Ma noi non rispondiamo con rabbia solo a minacce esterne. Noi rispondiamo con rabbia anche ai nostri stessi sentimenti o per paura di alcune emozioni. Quindi quando abbiamo paura, ci sentiamo feriti, proviamo dolore, delusione o sofferenza, tendiamo ad attaccare per difenderci da queste emozioni dolorose. Questo è ancor più tipico nei bambini, che hanno maggior difficoltà ad autoregolarsi.
Quando i bambini si arrabbiano, attaccano il fratellino (che ha rotto il loro gioco), i genitori (che non sono stati giusti con loro), gli insegnanti (che li hanno messi in imbarazzo) o i compagni prepotenti (che li hanno spaventati). Avere adulti attorno che gestiscono in modo adeguato la rabbia è importante, soprattutto per affinare le seguenti abilità:
1.      Controllare gli impulsi aggressivi: Verso i 3-4 anni i bambini dovrebbero essere già in grado di tollerare lo sbalzo di adrenalina tipico della rabbia, senza dover picchiare nessuno. Importante è che gli adulti accettino la rabbia e rimangano calmi, così da poter insegnare i modi per calmarsi senza far male a nessuno (NB. L’attacco nei confronti dei fratelli dura più a lungo…)
2.      Riconoscere l’emozione celata dalla rabbia: Quando il bambino comprende il dolore per il gioco rotto, la delusione verso l’ingiustizia dei genitori, la vergogna per non aver risposto in classe e la paura causata dai compagni, può crescere e passare oltre. Non ha più bisogno di arrabbiarsi per difendersi da queste emozioni. Se invece non aiutiamo il bambino a comprendere la fonte della sua rabbia, continuerà a perdere le staffe, senza risolvere il vero problema.
3.      Risolvere costruttivamente il problema: L’obiettivo ultimo è quello di usare la rabbia come una spinta per cambiare la situazione così che questa non si ripeta. Ad esempio: spostare il gioco dove il fratello non può prenderlo, farsi aiutare dagli adulti a gestire i prepotenti, ecc.. Questa ricerca di soluzioni può essere fatta solo quando il bambino è calmo. Il bambino deve sentirsi sicuro di poter esplorare la sua rabbia, e capire l’emozione che ci sta sotto; solo dopo aver fatto questo si può passare alla ricerca di soluzioni.

Ma i genitori come possono aiutare?
1.      ricordarsi che tutte le emozioni sono legittime: Solo alle azioni si può porre un limite. Se i bambini bloccano l’emozione, questa non è controllabile, e si rischia l’aggressione. Se invece è espressa, viene verbalizzata e non agita.
2.      porre limiti: Accettare le emozioni non significa accettare le azioni. Picchiare non è accettabile. Se i bambini continuano a farlo chiedono aiuto e chiedono all’adulto di stabilire un limite. Dire “Arrabbiati pure quanto vuoi, ma non fare del male e non rompere nulla. Vedo che sei arrabbiato, ma devo proteggere tutti.”
3.      siate il contenitore e il testimone della rabbia di vostro figlio. Se lui non ce la fa bloccatelo con un abbraccio, facendogli capire che accettate la sua rabbia, e lo state aiutando a non fare del male a nessuno. Se i bambini rompono cose o fanno male, questo non è d’aiuto, ma somma alla rabbia il senso di colpa e l’idea di essere persone cattive.
4.      non mandare il bambino a calmarsi da solo: Pensate che i bambini, soprattutto se piccoli, hanno bisogno del vostro amore e della vostra comprensione proprio quando la “meritano di meno”. Invece di usare il “time out” che dà ai bambini il messaggio di essere da soli con questa emozione così grossa e paurosa, provate il “time in” che significa stare col vostro bambino ed aiutarlo a gestire la sua emozione. Vedrete quanto il bambino mostri maggior autocontrollo quando usate il time-in proprio perché si sente meno incapace e solo.
5.      state vicino al bambino quando è ferito: Se sapete cos’è successo riconoscetelo: “sei così arrabbiato perché la tua torre è caduta”. Se non lo sapete dite quello che state vedendo “stai piangendo” e date un permesso esplicito “Va bene, tutti hanno bisogno di piangere (o di arrabbiarsi, o di essere tristi….) a volte. Starò qui con te fino a che non stai meglio”. Se vi dice di andar via dite: “Tu vuoi che me ne vada. Io mi sposto ma sono qui vicino. Non mi piace lasciarti da solo con queste brutte emozioni (o emozioni così pesanti!)”.
6.      state calmi. Urlare a un bambino arrabbiato rinforza i sentimenti che prova già e lo fa sentire in pericolo. Renderete solo la bufera più forte. Il vostro lavoro è quello di ripristinare la calma, vostro figlio può comprendere come migliorare solo da calmo. Se siete abituati ad urlare, pensate che il vostro comportamento è un modello, e non potete pretendere quello che nemmeno voi sapete fare. I bambini devono capire che la loro rabbia o le altre emozioni negative non sono così paurose come sembrano –dopo tutto la mamma e il papà non ne hanno paura. La vostra presenza li farà sentire al sicuro, e questo li aiuterà a ragionare e a tranquillizzarsi
7.      date modo ai vostri bambini di sfogare la rabbia sul momento. Dare un pugno ad un cuscino, ma anche battere i piedi, oppure disegnare o scrivere perché si sente arrabbiato e poi strappare il foglio in piccoli pezzi: lasciate “agire” la rabbia in un modo sano. Potete poi aiutare a rilassarsi (il respiro della candela, soffiando lentamente su ogni dito-fiamma oppure inspirare fino a 4 dal naso, espirare fino ad 8 dalla bocca). Quando è calmo potete fare assieme una lista delle cose costruttive da fare per gestire l’emozione negative e metterla visibile in casa. Lasciate che sia il bambino a scriverla o ad aggiungerci immagini, di modo che la senti sua. Usatela anche voi quando vi sentite arrabbiati.
8.      aiutate il bambino a capire i “segnali di avviso”: Quando è stata rilasciata l’adrenalina, è difficile controllare la rabbia. L’unica cosa che possiamo fare è essere un porto sicuro nella tempesta. Ma possiamo aiutare il nostro bambino a capire i segnali che precedono la sua irritazione e aiutarlo a calmarsi: il corpo è più teso, i denti sono serrati, cambia il tono della voce (si abbassa o si alza), c’è agitazione: “Vedo che ti stai irritando. Proviamo a calmarci un po’ e a trovare una soluzione.”
9.      aiutate il bambino a sviluppare l’intelligenza emotiva. I bambini che si sentono a proprio agio con le loro emozioni gestiscono meglio la rabbia. Non negate o banalizzate i sentimenti negativi, la rabbia, la paura. I bambini cercano di reprimere le loro paure, la gelosia, le ansie, ma le emozioni represse prima o poi scoppiano e creano danni. I bambini che temono le loro emozioni, rischiano a lungo andare di avere bisogno di un aiuto professionale.



E se il figlio è adolescente?
Negli adolescenti è ancora più chiaro che la rabbia è una maschera per nascondere altre emozioni: frustrazione, imbarazzo, tristezza, dolore, paura, vulnerabilità, ecc. I livelli di queste emozioni sembrano più forti, e anche le reazioni lo sono, mettendo i giovani nei guai o esponendoli a gravi rischi. Che fare?
-          Stabilire regole e conseguenze: come per i più piccoli, tollerare la rabbia ma non i modi inadeguati di esprimerla.
-          Individuare cosa sta sotto la rabbia, quale emozione sta mascherando.
-          Individuare i segnali premonitori.
-          Individuare modi positivi per alleviare la rabbia: fare movimento, sport, arte, scrittura creativa, ballo, ascoltare musica…
-          Lasciarlo da solo ma mostrarsi vicini; quando si calma è importante esserci per parlare.
-          Gestire la propria rabbia, anche di fronte a provocazioni ripetute: siamo i suoi primi modelli.
-          Usare l’ascolto attivo e dare attenzione massima quando c’è la disponibilità a parlare.