Tutto
dipende dal destino o tutto dipende da noi? C’è chi la pensa in un modo, chi
nell’altro. Ma non stiamo solo parlando di un’opinione: questo modo di pensare
condiziona le nostre scelte, la nostra immagine di noi stessi… Queste due
opinioni sono racchiuse nel concetto di Locus of Control.
Il
concetto di Locus of Control, proposto nella serata di Daniela Raccanello, come
componente per comprendere le motivazioni aiuta a capire come pensarla in un
modo o nell’altro sia rilevante nelle nostre vite.
La contrapposizione di un
destino che governa la nostra esistenza contro il potere delle nostre scelte è
una questione filosofica prima ancora che psicologica che ha visto impegnati
molti famosi pensatori come Aristotele e Platone. Un teorico
dell’apprendimento come Albert Bandura sostiene che la presona non maturi pienamente finché non si
sviluppa un senso di controllo personale. Altri credono in un destino
incontrollabile. A ciascuno di noi è data facoltà di credere all’una o
all’altra fazione e questa convinzione risiede proprio nel locus of control.
Cos’è il locus of control?
Il locus of control o
"luogo di controllo" è una variabile psicologica definita da Julian Rotter per indicare la percezione
che ciascuno ha circa la possibilità di controllare la propria vita.
Siamo convinti che quello
che scegliamo di fare sia importante per direzionare gli eventi che ci
accadono? Oppure tutto è dovuto al caso, alla fortuna, agli altri? Esistono due
tipologie di locus of control: interno (attribuzione interna del controllo: “io controllo la
mia vita”) ed esterno (attribuzione esterna del controllo: “Il destino controlla la
mia vita”). Questa variabile è molto importante in psicologia perché determina
l’atteggiamento, la motivazione e la spinta ad agire
dell’individuo.
Locus interno ed esterno
Chi ha un locus esterno si sente spesso in balia
dell’imprevedibilità e non ricerca delle
soluzioni autonome, ma si affida agli altri. La motivazione è molto debole e
c’è una visione negativa dell’andamento della vita. Chi ha un locus interno invece, si impegna nella
ricerca attiva di strumenti e soluzioni perché ritiene che le soluzioni ai suoi problemi siano
alla sua portata. Possiede alti livelli motivazionali. Questa distinzione così
netta è utile ai fini di ricerca, ma è importante comprendere che nella realtà
non ci sono persone così chiaramente "interne" o "esterne".
Gli individui hanno una tendenza predominante in uno dei due sensi, ma sono
molteplici le fonti di variazioni. Il ruolo, il tipo di circostanza e le aspettative di volta in volta influenzano il nostro atteggiamento
portandolo ad essere arrendevole o determinato. E’ come una bilancia che
talvolta pende da una parte e talvolta pende dall’altra.
In generale è stato
osservato che chi percepisce maggiore abilità nel controllare gli eventi è in
grado di padroneggiare meglio le situazioni stressanti. Più in generale il
locus è stato messo in relazione con la probabilità di ammalarsi e di mettere
in atto strategie preventive. Il locus interno è associato a un maggior numero
di comportamenti
protettivi,
ma d’altra parte mostrano maggiore indipendenza dal medico a danno del rapporto
terapeutico (compliance).
Evento positivo
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Evento negativo
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Esempio
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Stile attribuzionale
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Locus esterno
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Locus interno
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Il compito mi è riuscito perché
era facile, sono stato fortunato.
La partita l’ho persa perché non
sono capace di giocare.
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È l’attribuzione più rischiosa
perché minaccia l’autostima.
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Locus interno
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Locus
esterno
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Il compito mi è riuscito perché mi
sono impegnato.
La partita l’ho persa perché l’arbitro
era contro di noi, siamo stati sfortunati.
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Tende
a precludere possibilità di miglioramento e di crescita.
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Locus esterno
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Locus
esterno
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Il compito mi è riuscito perché
era facile, sono stato fortunato.
La partita l’ho persa perché l’arbitro era contro di noi, siamo stati
sfortunati.
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La persona ha alte probabilità di
risultare passiva.
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Locus interno
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Locus interno
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Il compito mi è riuscito perché mi
sono impegnato.
La partita l’ho persa perché non
sono capace di giocare.
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È la combinazione più proficua
purché non generi eccessive ansie e sensi di colpa.
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Consideriamo
come vengono percepiti eventi positivi e negativi della vita.
Se la causa dei
successi viene ritenuta prevalentemente esterna e quella degli insuccessi
interna, si verifica la situazione più rischiosa: la persona non crede nelle
proprie capacità e ritiene inutile impegnarsi. Può innescarsi l’impotenza
appresa (che verrà approfondita nel prossimo post).
La situazione
contraria (successo riferito a cause interne e insuccesso all’esterno) è
anch’essa rischiosa, in quanto impedisce alla persona di crescere e la mette in
una posizione scomoda nei confronti degli altri. Il pensiero costante è “io
sono bravo, sono gli altri che a volte mi intralciano la strada”.
Chi attribuisce per
la maggior parte delle volte sia i successi che i fallimenti a cause esterne,
rischia di diventare passivo perché pensa di non potere mai padroneggiare la
situazione: “tanto, qualsiasi cosa faccio il risultato non dipende da me”.
Soltanto chi
attribuisce prevalentemente sia i propri fallimenti che i propri successi a
cause interne, riesce a ottenere risultati migliori, in quanto s’impegna e
persiste anche di fronte a compiti particolarmente impegnativi e sa affrontare
positivamente anche l’insuccesso, vissuto come indicatore di un impegno
insufficiente. È necessario, però, tenere sotto controllo l’ansia e i sensi di
colpa.
Bisogna quindi educarsi
(ed educare) a riconoscere sia il proprio contributo (al pensare che se mi
impegno le cose accadono), ad accettare che talvolta possa intervenire quello
degli altri e di fattori esterni (talvolta può capitare che l’impegno non
basti), e a operare con determinazione per crescere e migliorare.