Siamo
arrivati alla fine di un lungo viaggio. L’Albero delle Relazioni edizione
2014-2016 si conclude. E’ stato un percorso ricco, intenso e costruttivo che ha
permesso di affrontare temi di attualità e di riflettere sul ruolo educativo
dei genitori a tuttotondo. Vogliamo lasciarvi con questo ultimo post, dedicato
all’ultima serata informativa tenutasi a Rumo. La relatrice, Serena Valorzi,
fedele amica dell’Albero, ha affrontato uno dei temi di maggior interesse per i
genitori. L’uso delle tecnologie. Lo ha affrontato portando alla luce come le
tecnologie ci modificano, come mutano le nostre abitudini e la nostra struttura
mentale. Attraverso una riflessione su noi stessi, è riuscita a farci
comprendere l’impatto ancor più intenso sui giovani. Il preciso collegamento a
emozioni, relazioni e motivazioni, fa di questo intervento una splendida chiosa
del percorso svolto.
Si è
partiti da una considerazione chiara e condivisa.
Ogni genitore vorrebbe per i propri
figli dare il meglio, insegnare la capacità di pazientare, di
desiderare, di creare con l’immaginazione, di autocontrollo, di entrare in
relazione con gli altri, di essere felice. Molti credono che dare stimoli
tecnologici sia importante, dia una marcia in più ai propri figli, faccia loro
apprendere tante cose. Ma le due cose coincidono? Sebbene le tecnologie al
mondo d’oggi debbano essere conosciute, siano parte della nostra quotidianità,
nascondono insidie che devono essere comprese e non devono mai sostituire le
“vecchie, buone abitudini”. Le ricerche dimostrano infatti che l’uso di tecnologie
ha un forte impatto su diverse abilità ed emozioni importanti. Ad esempio:
Attenzione e rielaborazione approfondita: Noi adulti siamo tutti partiti da
un’esperienza dove internet, cellulari, smart-phone, non c’erano, dove eravamo
abituati a stare attenti e fermi per diverse ore di fronte a un insegnante che
spiegava, senza muoversi o senza effetti speciali, senza schermi o altri mezzi
d’intrattenimento. Noi siamo stati abituati a mantenere l’attenzione per un
lungo periodo di tempo. Siamo anche stati abituati a sviluppare una rielaborazione
approfondita, ricollegando più
temi/fonti/informazioni su uno stesso tema. Quando noi eravamo piccoli, siamo
stati abituati a fare ricerca leggendo diversi testi su un argomento e
rielaborandoli (se non altro cambiando qualche parola o sommando diverse fonti
per fare in modo che l’insegnante, che probabilmente conosceva le stesse 2/3
enciclopedie in circolazione, non vedesse che avevamo copiato). Ora il “copia e
incolla” che fanno i nostri figli è ben diverso: si è perso il gusto di
conoscere ed approfondire. Questo è un grosso danno visto che attenzione e la
rielaborazione approfondita sono alla base dell’apprendimento.
Cosa
possiamo fare come genitori? Dovremmo aiutare i nostri figli a capire, tra
le mille fonti disponibili, a scegliere i siti più coerenti e adeguati per la loro
ricerca, e a confrontare dati e informazioni per poi approdare ad un nuovo
testo. Solo in questo modo avremmo gli stessi effetti delle nostre ricerche
vecchio stile: un nuovo apprendimento, la creazione, nel nostro cervello, di
nuove connessioni e nuovi legami. Nello stesso tempo dovremmo coltivare
l’attenzione: la lettura, la ricerca di indizi o informazioni in un testo, sono
stimoli importanti che possono aiutare.
Tolleranza alla frustrazione e capacità di
attendere. Non c’è più la capacità di aspettare, la gestione del tempo,
l’ansia, spesso la comunicano anche i genitori o gli educatori a scuola. Non mi
prendo lo spazio mentale per poter trovare soluzioni alternative, tutto deve
essere “qui e ora”. Anche l’instant messaging non fa altro che aumentare questa
ansia: io invio il messaggio, vedo subito se è stato ricevuto, e se non ho
subito risposta inizio a pensare al peggio (“è successo qualcosa… ce l’ha con
me…”). Solo la risposta mi dà gioia e pace. Se noi abbiamo questa modalità, non
possiamo che “insegnarla” anche a nostro figlio.
Questo,
emotivamente, sta alla base dei comportamenti di dipendenza: io scrivo, ho una
bassa soglia di tolleranza all’attesa (perché non sono più abituata, perché nel
nostro cervello si è modificata la struttura e ci porta a non tollerare più
l’attesa), sto male e sto meglio solo all’arrivo della risposta. I tempi di
attesa sono molto diminuiti, siamo molto più impulsivi, e questo è perché il
nostro cervello è cambiato, “grazie” alla tecnologia.
Cosa
possiamo fare come genitori? Dovremmo recuperare l’atteggiamento di attesa
e serenità dei nostri genitori, e che talvolta non stiamo dando ai nostri
figli. Dobbiamo riuscire a dare ai nostri figli questi messaggi rassicuranti
che ci davano i nostri (“es. non preoccuparti, l’avrà letto ma starà facendo
altro, è una cosa normale…”). Rendiamoci conto che spesso, stiamo dando una
serie di informazioni e richieste ai nostri figli, che spesso sono negative:
“scrivimi subito appena arrivi”, “fammi sapere cosa stai facendo”. In un certo
senso questa richiesta della mamma mi fa capire che attendere non esiste, che
sono io a dovermi prendere cura dell’ansia di mia mamma (inversione di ruoli) e
che se ho un’ansia, una emozione negativa, devo subito trovare qualcosa che la
tampona (il messaggino rassicurante). Dobbiamo gestire prima di tutto le nostre
emozioni e risultare esempio di attesa e tranquillità. Per i bambini più
piccoli sono utili le routine, che creano spazi e tempi precisi e tranquilli
per i vari momenti della giornata.
Tolleranza alla pressione: Tantissimi
ragazzi non tollerano neanche un po’ di pressione. Hanno stati ansiosi potenti
con una serie di somatizzazioni importanti. Non riescono a tollerare la
frustrazione e il pensiero del fallimento. Di fronte a un problema, o a un
malessere la tendenza è quella di trovare una soluzione subito, e spesso
significa mollare: mi è andato male il compito, cambio scuola; ho litigato col
compagno, cambio classe. La soluzione ideale è invece quella di aspettare, riflettere,
cercare di trovare una soluzione con calma.
Cosa
possiamo fare come genitori? Dovremmo recuperare la capacità di resistere
alle difficoltà, di analizzarle con calma per poter trovare una soluzione
alternativa.
Autocontrollo: Anche l’autocontrollo ha
ripercussioni forti legate all’uso di tecnologie. Ogni genitore sa che non può
lasciare un pacchetto di caramelle incustodite con un bambino, perché queste le
mangerà tutte (visto che non ha ancora sviluppato l’autocontrollo). Stessa cosa
rispetto alle tecnologie. Noi su questo siamo più impreparati, perché ci
lasciamo spesso trascinare nel tranello “E’ capace, lo sa far funzionare, non
serve che gli faccio vedere prima”. L’autocontrollo è quella capacità che mi fa
capire l’utilità o meno del desiderio. Si attiva la parte relazionale che mi
permette di inibire l’impulso. E’ flessibile ed in base al contesto può farmi
cambiare scelta.
Cosa
possiamo fare come genitori? Aiutare a sviluppare la parte razionale che mi
permette di contenere il desiderio o di posticiparlo. Anche utilizzare i
rituali è utile, perché sono importantissimi per l’autocontrollo, sono una
forma di allenamento fantastica.
Relazioni con gli altri: Anche la
capacità di entrare in relazione con gli altri viene modificata dall’uso di tecnologie:
i ragazzi non vedono più la differenza tra un contatto diretto (vis a vis) e
uno indiretto (scrivendosi), ma visto che il primo implica molte più abilità
sociali, se non “allenato” viene perso. Le relazioni (il desiderio, la
pianificazione, la realizzazione del piano, la solitudine…) si perdono, perché
basta andare on-line per sentirsi “vicini”. La solitudine è il modo che la
natura ci dà per ricercare contatto vero con l’altro. On line perdo il
contatto, la vicinanza, lo sguardo… Questi apparecchi danno la possibilità di
fare cose che prima era impensabile fare, che non immaginavamo nemmeno. Ma
hanno senso se servono a “creare” a preparare l’incontro vero, non come
sostituto. L’intensità è diversa. Pensiamola con una metafora culinaria: il
rapporto diretto rispetto al rapporto on line è come mangiare una torta alla
panna rispetto al biscottino dietetico. Se io ho mangiato la torta alla panna
il biscottino dietetico non mi soddisferà. Se io mangio solo biscottini
dietetici, sicuramente mi sembreranno sufficienti, ma per quanti ne mangio non
mi daranno mai l’appagamento e il piacere di una fetta di torta alla panna. Quando
ci sentiamo soli, se abbiamo avuto
rapporti importanti abbiamo il ricordo del piacere del legame, che mi aiuterà a
superare la solitudine, perché sappiamo quanto è forte l’affetto e la vicinanza
con l’altro e quanto questo può dare. La mancanza si sentirà ma non mi sentirò
vuoto. Se io questa esperienza non l’ho mai vissuta, o l’ho vissuta troppo
poco, e mi si toglie la possibilità di incontrarmi sui social, mi sentirò solo
e vuoto, se la maggior parte delle relazioni si riducono sui social non avrò un
bagaglio di ricordi e sensazioni che mi aiutano per stare da solo bene.
Cosa
possiamo fare come genitori? Dare la possibilità di avere relazioni reali e
di spendere tempo con gli altri.
La felicità: sembra strano ma anche la
felicità è una variabile che pare collegata all’uso di tecnologie. Ma in
negativo. Emerge dalle tecnologie un idea di felicità errata: l’immagine che
gli altri ci rimandano è sempre di gioia e successo, pare che gli altri siano
sempre felici. Questo crea molte difficoltà nel gestire i propri momenti
difficili. Nei social network e sponsorizzato tutto quello che appare
accettabile, felice, adeguato ecc.; siamo bombardati da stereotipi sulla
felicità. Mentre sono demonizzate le emozioni negative per cui si cercano
sempre soluzioni rapide e facili: es. psicofarmaci, che può essere utile in
certe situazioni, ma non può essere uno strumento di gestione delle emozioni negative.
Oggi ve ne è un forte abuso, dato proprio dall’incapacità di gestire in altro
modo emozioni negative (ansia, tristezza…). Ricerche recenti dimostrano che
l’astinenza da facebook per una settimana rende più felici, meno invidiosi,
meno tristi, più spinti alle relazioni alle altre persone. Un effetto molto
forte dato da una sola settimana di astinenza da uno solo dei possibili social
network. L’uso dei network porta a confrontarsi con esperienze sempre positive
di altri che si sommano nella mia mente facendo apparire la mia realtà più
squallida e povera di quella degli altri. Il confronto via web non è
“naturale”, crea un’invidia bloccata, non costruttiva, mi mostra solo il
risultato e non lo sforzo per arrivarci. Quando poi mostro qualcosa di mio, per
essere alla pari, pompo la mia esperienza: ed anche questo (non consapevoli che
tutti pompano la loro esperienza) mi rimanda un’immagine di me negativa.
Cosa
possiamo fare come genitori? Aiutare i figli ad analizzare le informazioni
criticamente, a non prendere tutto come oro colato. A riflettere su quello che
leggo, e soprattutto a confrontarmi spesso col mondo reale, che mi ridà la
dimensione delle cose.
La fantasia e l’immaginazione. Favole o
Masha e Orso? La fantasia è una risorsa importante per ognuno di noi. Le
tecnologie ne limitano lo sviluppo. Ad esempio, pensiamo alla differenza tra
addormentare i propri figli proponendo una favola o lasciando guardare la TV. Le
favole la sera servivano per creare immagini mentali, per pazientare in attesa
della fine (se la storia era lunga) per sviluppare la capacità di trovare
alternative nelle situazioni di difficoltà, di spaziare con la fantasia. Davano
inoltre la possibilità di stare con la mamma e il papà, di ritagliarsi un
attimo tutto vostro. La favola quieta prima di addormentarsi. Se vedo Masha e
Orso, magari sono da sola, la velocità dell’azione è tanta, mi si attiva
l’adrenalina, appena finisce ne voglio un altro. Non ho rapporto con l’adulto,
e mi perdo la capacità di farmi compagnia da solo (immaginandomi la storia,
rivivendone alcuni passaggi…). Masha e Orso non mi danno autocontrollo, non mi
aiutano a svilupparlo.
Cosa
possiamo fare come genitori? affiancare alle attività normali anche altre
specifiche per sviluppare fantasia, creatività, manualità…
Serena
Valorzi ha inoltre proposto diversi casi
clinici, che hanno portato a comprendere come:
- - di fronte a situazioni estreme, o difficili, avere
uno sguardo che tende ad essere giudicante che da una colpa e questo è
controproducente. Dare le colpe, alla scuola, ai genitori, non cambia
nulla. L’importante è capire il problema che c’è e cercare di affrontarlo ora e
evitare che la stessa cosa si ripeta (con altri figli, con altri alunni…); e’
importante fare una fotografia dello stato attuale;
- - il pensiero giudicante (su sé stessi in
questo caso) collegato alla vergogna, è il principale motivo che porta i
genitori a chiedere aiuto quando ormai la situazione è molto grave (e
quindi più difficile da gestire);
- - l’abuso a internet e la dipendenza sono
spesso collegate a reazioni aggressive, ad ogni tentativo di ridurre
l’uso da parte di altri, a demotivazione scolastica;
-
tutti i giochi che sono rapidi, colorati, con
musichine, tendono a dare dipendenza;
- - l’accordo tra i genitori deve essere trovato:
solitamente si è su posizioni anche diametralmente diverse, è necessario
trovare un accordo, che magari non è l’optimum per uno né per l’altro, ma è una
posizione comune.
Dalla
animata discussione con i genitori in sala sono emerse diverse riflessioni
interessanti:
La tecnologia ha tempi molto stretti.
Se pensiamo a tecnologie attuali, non
potevamo immaginare qualche anno fa che in un oggetto così piccolo come uno
smartphone si potessero sommare così tante funzioni. Queste novità hanno invaso
e pervaso la nostra vita, hanno il potere di modificare il nostro cervello e le
nostre abitudini. Se questo è vero per noi, che abbiamo un passato di
transizione da “zero tecnologie” a “nuove tecnologie”, e abbiamo vissuto fasi di
vita più lente, figuriamoci quale può essere l’impatto sui nostri figli, che
fin da subito vi si sono trovati immersi. Tutto quello che noi sappiamo, quello
che ci ha dato il nostro passato, non è quello che vivono i nostri figli, i
giovani di oggi.
Le
tecnologie possono essere strumenti meravigliosi ma possono essere promotori di
grosse difficoltà. E’ importante quindi conoscerli e comprenderne le diverse
sfaccettature.
E’
importante capire che tutto quello che facciamo e le scelte che mettiamo in
atto, ci sono delle ripercussioni sul nostro cervello: se ho memorizzato
qualcosa vuol dire che si sono creati nuovi legami nelle cellule del mio
cervello. Anche l’uso delle tecnologie ha un impatto sul cervello, molto forte
se l’uso è prolungato o limita altre normali attività –es. le relazioni con gli
altri- (es. aumenta impulsività, diminuisce la capacità di concentrazione, di
autocontrollo, di attenzione.). Il nostro cervello è plastico, muta, non è
fisso: questo da genitori è molto rassicurante. C’è sempre modo di
“rimodellare” il cervello, di sostenere il cambiamento positivo.
Pensiamo
a quanto questi apparecchi hanno modificato il nostro modo di essere: ad
esempio, siamo meno abituati a leggere libri e pagine bianche, piene. In
internet prediligiamo poco testo, con immagini ecc. L’abitudine cambia il
nostro modo di ragionare, la nostra parte emotiva, la nostra capacità di
reagire alle cose. Se noi consideriamo quanto i cambiamenti siano forti per
noi, che abbiamo vissuto in un'altra epoca (di attese, di contatti lenti, di
momenti di pausa e noia) pensate a che impatto questo può avere su chi non ha
vissuto quelle epoche senza tecnologia.
Ricordiamoci di quanto conta l’esempio.
Siamo noi adulti molto spesso che diamo l’idea ai nostri figli che gli strumenti
tecnologici sono importanti, proprio per l’uso che ne facciamo. I piccoli che
vedono sempre attenti gli adulti sull’oggetto tecnologico (Tv, telefono,
computer), magari dando maggior attenzione a questi strumenti che a loro, oppure
ci vedono usare questi strumenti quando siamo impazienti (in attesa di qualcosa,
in coda…). I bambini apprendono per significati: gli stiamo dicendo che questi
oggetti sono i più importanti, che le relazioni sono meno centrali, che questi
apparecchi mi possono dare la calma, mi possono aiutare a superare un momento
di stress.
Modello sufficiente: è importante che i
genitori siano un modello positivo, nonostante le esperienze e le persone con
cui entra a contatto mio figlio, io devo essere per lui modello positivo e
sufficiente. Dobbiamo fare una riflessione su come gestiamo la nostra
emotività, la nostra ansia. Se ci
pensiamo, prima che arrivassero i cellulari, se si era in ritardo, si arrivava
in ritardo, e gli altri aspettavano con una ragionevole tranquillità. Il fatto
di essere bombardati da tragedie e pericoli, ed il fatto di non saper più
aspettare ci crea ansia in modo esagerato: se non riesco a mettermi sempre in
contatto con gli altri entro in ansia.
Esistono pensieri parassiti che dobbiamo
riconoscere ed eliminare: es. 1. se abbiamo i cellulare con noi va tutto
bene, mentre se il cellulare non c’è chissà cosa può accaderci. Es. 2. I
bambini sono bravi e veloci con le tecnologie, quindi non serve aiutarli.
Quanta tecnologia serve ai bambini? I
bambini dovrebbero usare “poco poco” la tecnologia, e l’adulto dovrebbe essere
presente, sorvegliare ecc. Tendenzialmente si eccede, perché i bambini di
fronte a uno schermo, tablet, ecc. stanno buoni, tranquilli, e quindi lasciano
il tempo all’adulto di fare altro. “Poco poco” dipende da:
-
che età ha;
-
quali sono le altra attività che fanno nella
giornata;
-
cosa li fa stare bene.
Visto
che i figli sanno fare molte cose di fronte a uno strumento tecnologico, questo
ci porta in modo errato a pensare che siano autonomi. Come genitori dobbiamo
sempre dare molta attenzione ai contenuti, attenzione a non lasciarli da soli
con internet. Cellulare, tecnologie, video-giochi sarebbe meglio dopo i
compiti, perché non è vero che sono un modo per rilassarsi, ma stressano
tantissimo, tolgono energie. Stabilite da subito orari e luoghi di utilizzo (non
in camera da soli) per avere un accordo preciso.
Tecnologia come handicap. L’uso della
tecnologia è un handicap sulle relazioni e sulle autonomie banali (allacciarsi
scarpe ecc.) nei bambini. Questo non perché vi sia un effetto diretto, ma
perché l’uso della tecnologia toglie tempo all’allenamento naturale che serve
per imparare certe cose. Dal punto di vista del mercato sembra esserci una
crescita del bisogno, una necessità di utilizzare queste cose. Le ricerche
scientifiche invece sottolineano come siano una barriera per le capacità di
lettura e di calcolo, difficoltà nelle relazioni, attenzione, ecc. c’è inoltre
una tendenza a disinvestire nelle relazioni intime.
La scelta di dare il cellulare dopo i 13
anni è giusta? Prima sarebbe meglio utilizzarlo prima insieme, per
instillare pian piano alcune conoscenze:
1.
che è uno strumento potente e che bisogna sapere
usare;
2.
che non si può pensare di poterlo usare da solo
fin da subito, ma deve esserci un esercizio guidato.
La
tendenza è, quando si va avanti con l’età attendendo i fatidici 13 anni, di
lasciarlo e basta, senza alcuna gavetta, senza alcuna supervisione. Questo è un
grave errore: il fatto che loro siano abili, veloci, capaci ad usarli, li fa
apparire autonomi, cosa che non sono. Si insinua poi il problema della privacy:
il cellulare appare come il nostro vecchio diario, cosa che però non è. Il
diario era scritto per noi, per entrare nelle nostre emozioni, per capirsi. Il
cellulare è già di per sé aperto agli altri. Mai e poi mai il diario avrebbe fatto
il giro della classe o dell’istituto. Whatsapp è tutta un'altra storia. E’
tutto men che privato. Prima di dare in mano un cellulare serve un periodo di
apprendimento, per capirne le conseguenze: es. se mando una foto con whatsapp è
come se ne facessi una copia, es. devo usare un linguaggio adeguato quando
scrivo in gruppo o quando scrivo direttamente a qualcuno.
Sarebbe
importante una introduzione alla tecnologia, dell’apparecchio guidata dai
genitori, fin da piccoli. Così è più facile che da grandi abbiano appreso come
fare.
Togliere il cellulare per punizione, serve?
Se per un breve periodo (1-3 giorni) e a causa, magari di una
“trasgressione” delle regole legate al cellulare, può essere utile. A volte i
genitori tolgono il cellulare per limitarne l’uso. Se la situazione è già
pesante, quasi di abuso o oltre, i ragazzi si sentono persi, perché hanno usato
il cellulare per gestire la loro emotività. Senza non capiscono la fonte (e la
soluzione) per il loro star male, e questo scatena aggressività aggravando i
problemi. Gli adolescenti ora, spesso non sanno dire come si sentono, cosa
stanno provando, non desiderano, non hanno bisogni a livello emotivo, sembrano
persi. Quando gli si chiede come stanno la risposta è “Bo, normale… non so…”. Questo
perché l’uso del cellulare ha tolto tempo per allenarsi e sperimentarsi nel
mondo reale: comprendere le proprie emozioni e come gestirle ha bisogno di
tempo, di contatti con gli altri, di un lavoro quotidiano. Come visto per le
relazioni, togliere i social fa sentire soli e vuoti, ma in un modo esagerato e
disperato (proprio perché mancano le risorse delle relazioni vere). Per questo
è meglio, in una situazione di alto uso, abuso e dipendenza non togliere del
tutto ma regolare, perché la sofferenza sarebbe troppo forte da sopportare.
Anche perché spesso questi ragazzi non hanno alternative. Non hanno la forza di
rimboccarsi le maniche e reagire, trovare soluzioni.
Tra genitori è importante trovare una
visione comune tra marito e moglie.
I
genitori possono non essere d’accordo dall’inizio, ma devono trovare, magari
anche davanti ai figli, un accordo condiviso. Solo in questo modo il problema
può essere affrontato veramente. Il disaccordo crea invece confusione e
alimenta il distacco in famiglia.
Essere guida e controllore nel mondo delle
tecnologie. Alcuni genitori pensano che quello che fanno i figli su
internet siano delle sciocchezze, una semplice perdita di tempo, e quindi
tendono a contrastare l’uso: è importante però cercare di capire perché quello
che fanno per loro è significativo. Perché lo ritengono importante. Cercate di
far fare uno sforzo ai vostri figli del perché per loro una cosa è importante.
Il genitore deve poi cercare di entrare nella visione dei figli. E’
importante inoltre essere guida all’inizio: “Ti diamo il cellulare ma in questo primo periodo ti
chiederemo di leggere le cose.” Sapere che in qualche momento qualcuno può
leggere dà la sensazione di controllo che serve per moderare i
comportamenti. Era un po’ quello che succedeva normalmente nelle strade di
paese, vicini, parenti controllavano a distanza. Visto che siamo noi i
responsabili del comportamento di nostro figlio è importante esserci. Magari si
possono commentare insieme a lui le comunicazioni del gruppo “Che ne pensi?”
facendoci notare alcune cose, sono ottime occasioni per ragionare sulle cose,
per parlare di sensazioni, di come la pensano delle cose, ecc. Anche rendere
partecipi i propri figli delle cose che ci vengono scritte può essere
utile. Non è un diario ma una comunicazione condivisa con altri. E’ importante essere
comprensivi: “Capisco che ti voglia fare questo per molto tempo,
probabilmente io alla tua età avrei fatto peggio…. Ma io non svolgerei il mio
ruolo di genitore se ti lasciassi fare come vuoi”.
E’
importante porre regole e limiti di utilizzo, e proporre alternative
diverse. Questo permette ai genitori di valorizzare il ruolo dell’autorità,
l’accettazione dell’autorevolezza, caratteristiche utilissime nella vita.
Concludendo, noi dobbiamo capire e
riflettere su quello che succede a noi, di fronte alle tecnologie, per avere
una pallida visione di quello che succede ai nostri figli, che non hanno la
struttura mentale e le esperienze passate che abbiamo avuto noi.
Di
fronte alle tecnologie dovrei:
1.
Pensare a che effetto a su di me: quali “dipendenze” si innescano, quale buone
abitudini si perdono
2.
pensare a quello che vorrei e non vorrei sul mio piccolo.
Questo
può darci una guida, una bussola, nel difficile mondo delle tecnologie.